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Un modo efficace per ridurre lo stress e l’ansia è scrivere i propri pensieri felici

Bastano 20 minuti al giorno in cui ci si focalizza sulle esperienze positive, dall’essere commossi da un buon libro all’innamoramento, per ridurre le sensazioni negative. Lo evidenzia uno studio della britannica Northumbria University, pubblicato sul British Journal of Health Psychology.

Per lo studio sono stati reclutati 71 partecipanti sani, di età compresa tra i 19 e i 77 anni, organizzati in maniera casuale in due gruppi. Al primo gruppo, composto da 37 persone, è stato chiesto di scrivere le esperienze più belle della vita per 20 minuti al giorno, per tre giorni consecutivi; al secondo gruppo, del quale facevano parte 34 persone, è stato invece assegnato il compito di scrivere su un argomento neutro, come i piani per il resto della giornata, nello stesso arco di tempo.

È stato misurato il livello d’ansia riportato dai partecipanti, immediatamente prima e dopo aver completato il compito di scrittura, riscontrando una riduzione significativamente maggiore dell’ansia in coloro che si erano focalizzati sulle esperienze positive. Coloro che hanno preso parte alla ricerca hanno anche riferito i loro livelli di stress, ansia e problemi di salute fisica quattro settimane dopo l’esperimento e anche in questo caso è emerso che l’ansia era diminuita in misura significativamente maggiore in chi si era concentrato sui propri pensieri felici. La scrittura non risultava invece aver migliorato i piccoli problemi di salute fisica, come mal di testa o di schiena.


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Una dieta di tipo mediterraneo, a base di frutta, verdura, olio d’oliva, pesce, cereali non raffinati e frutta secca è amica delle ossa.

Può ridurre infatti la perdita di densità ossea nelle persone con osteoporosi.

Lo rileva una ricerca dell’Università dell’East Anglia, che ha coinvolto anche l’Università di Bologna, pubblicata su American Journal of Clinical Nutrition.

Lo studio è stato svolto su più di 1000 persone, per la precisione 1142 reclutate in cinque centri in Italia, Regno Unito, Paesi Bassi, Polonia e Francia. Di età compresa tra 65 e 79 anni, i partecipanti sono stati divisi in due gruppi: uno ha seguito una dieta mediterranea, aumentando l’apporto di frutta, verdura, noci, cereali non raffinati, olio d’oliva e pesce, consumando piccole quantità di latticini e carne e bevendo alcol con moderazione, l’altro no.

Dopo un periodo di 12 mesi è emerso che la dieta non ha avuto un impatto visibile sui partecipanti con una densità ossea normale, ma su quelli con osteoporosi. Nelle persone del gruppo cosiddetto di controllo si è continuata ad osservare una normale diminuzione correlata all’età della densità ossea, ma in coloro che avevano seguito la dieta vi è stato un aumento della densità ossea in una parte del corpo, il collo del femore, delicata per l’osteoporosi poiché la perdita di tessuto osseo nel collo del femore è spesso la causa della frattura dell’anca, che è frequente negli anziani.


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Mangia poco e sano, non beve alcolici e non ha mai toccato una sigaretta. Più anziane di lei le giapponesi Chiyo Miyako che vanta ben 117 anni e Kane Tanaka di 115 anni.

Classe 1903. Si chiama Maria Giuseppa Robucci (ma per tutti è nonna Peppa) ed è la terza donna più anziana al mondo dopo le giapponesi Chiyo Miyako (di 117 anni) e Kane Tanaka (115 anni). Nata in provincia di Foggia ha conquistato il palma res dei supercentenari italiani dopo la scomparsa di Giuseppina Projetto morta in Toscana alla veneranda età di 116 anni.

Nonna Peppa gestiva il bar del paese insieme al marito, Nicola, morto nel 1982. Madre di cinque figli, tre maschi e due femmine: la più giovane ha 75 anni, il più anziano 89 ed è nonna di nove nipoti e 16 pronipoti. Da qualche anno si è trasferita ad Apricena, a casa della figlia di 75 anni.

Lo scorso anno, dopo essere stata operata, ha dichiarato: “Sto bene, ma sto invecchiando…”

La ricetta della sua longevità? Mangia poco e sano, non beve alcolici e non ha mai toccato una sigaretta. E poi la fede e la preghiera: “Fino a qualche anno fa andavo a piedi in chiesa per la Santa Messa”.

Ma a tallonare Nonna Peppa c’è Maria Giuseppa Robucci di tre mesi più piccola.

Maria Giuseppa nel 2015 è stata insignita del titolo di sindaco onorario di Poggio Imperiale consentendole di conquistare il titolo di sindaca più anziana d’Italia.


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I bimbi esposti al fumo di seconda mano è più facile che sviluppino l’abitudine a russare.

Lo rileva uno studio cinese, della Qingdao University, che ha revisionato le ricerche sul tema, pubblicato sulla rivista Journal of Epidemiology and Community Health.

Gli studiosi hanno esaminato 24 studi che hanno incluso quasi 88.000 bambini per giungere alla conclusione che il rischio di russare sale fino all’87% se i piccoli sono esposti regolarmente al fumo di sigaretta da parte della mamma, e più i bimbi sono piccoli più sono vulnerabili.

Mentre altre esposizioni al fumo in casa, compreso che ad avere l’abitudine siano i papà, aumentano il rischio di circa il 45%. Le probabilità aumentano di circa il 2% per ogni sigaretta fumata ogni giorno in casa.

Il rischio non riguarda solo le fasi successive alla nascita: anche i piccoli esposti al fumo già nella pancia della mamma sono risultati avere quasi il doppio delle probabilità di finire con il russare.


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Per gli adolescenti bere alcol (anche a dosi moderate) fa male: fa modificare il metabolismo e riduce il volume della materia grigia del cervello.

E’ questa la scoperta a cui sono arrivati i ricercatori dell’Università della Finlandia orientale e dell’Ospedale universitario di Kuopio.

Alcuni dei cambiamenti del metabolismo e dei metaboliti (cioè del materiale che viene assorbito dall’organismo) sono stati associati a un ridotto volume della materia grigia cerebrale, specialmente in tutte quelle giovani donne che sono forti bevitrici.

«Gli adolescenti che bevono alcolici hanno avuto un aumento delle concentrazioni di 1-metilistamina, che a sua volta era associato a un volume ridotto di materia grigia cerebrale», spiega la ricercatrice Noora Heikkinen dell’Università della Finlandia orientale. La 1-metilistamina è un composto che si forma nel cervello a causa dall’istamina prodotta dalle risposte immunitarie che si scatenano nell’organismo. «Ciò che è nuovo e significativo del nostro studio è che abbiamo osservato cambiamenti del profilo dei metaboliti anche nei giovani che consumavano alcolici a un livello socialmente accettabile. Infatti, nessuno dei partecipanti aveva una diagnosi di dipendenza da alcol», ha aggiunto.


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Bere tanto, non camminare a piedi scalzi, non prendere troppo sole e non esagerare con l’attività fisica: sono alcuni dei consigli che i diabetologi rivolgono ai malati in vista delle vacanze per evitare di avere problemi.

Tra pasti ritardati, cibo nuovo e buffet, più attività del normale e fusi orari infatti non mancano i fattori che possono disturbare la routine di una persona diabetica in vacanza.

“Il primo consiglio – spiega Giorgio Sesti, past president della Società italiana di diabetologia (Sid) – è quello di portarsi i farmaci dietro e non dimenticarli a casa, in modo da prenderli regolarmente. Non vanno dimenticate anche le strisce reattive, in modo da potersi auto-monitorare l’insulina”.

I Centers for diseases control (Cdc) americani raccomandano anche di andare dal proprio medico prima della partenza per un controllo generale, chiedendogli se le attività che si hanno in programma possono influire sul diabete, e farsi fare una prescrizione dei farmaci, in caso li si perda.

E’ poi molto importante bere molto: il diabete fa perdere liquidi, e con il caldo c’è il rischio di disidratazione – continua Sesti – e di un aumento della glicemia”.

Cercare poi di resistere alle tentazioni dei buffet negli alberghi o in crociera, cercando di mantenere la dieta costante, e non esagerare con l’attività motoria.


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Quello di mangiare di più o di meno se si è stressati, tristi o arrabbiati, è un comportamento che i bambini imparano a casa.

Il rapporto emotivo con il cibo, in altre parole, più che genetico, sarebbe conseguenza delle abitudini e dei comportamenti che i genitori adottano con i propri figli, ad esempio dandogli da mangiare il loro cibo preferito per calmarli quando sono agitati.

E’ la conclusione di uno studio dello University College di Londra pubblicato sulla rivista Pediatric Obesity. La ricerca è stata condotta su circa 400 coppie di gemelli, omo ed eterozigoti, di 4 anni di età, metà dei quali con genitori obesi, e l’altra metà con genitori dal peso sano. I genitori dovevano rispondere se i figli mangiavano di più quando arrabbiati o di meno se tristi.

I ricercatori hanno poi confrontato le risposte e hanno visto che c’erano pochissime differenze tra gemelli identici e non. Ciò indicherebbe, secondo loro, che la causa principale sarebbe l’ambiente casalingo più che l’influenza dei geni, al contrario di quanto sostenuto da precedenti studi. Quello di mangiare in modo emotivo, anche se non ereditata geneticamente, è un’abitudine che si può trasmettere da una generazione all’altra.

«Mangiare in modo emotivo indica una relazione non sana con il cibo – commenta Clare Llewellyn, coordinatrice dello studio – I genitori, anziché trovare strategie più positive per gestire le emozioni dei figli, usano il cibo». La tendenza a mangiare di più in risposta ad un’emozione negativa può essere un fattore di rischio per lo sviluppo dell’obesità, e avere un ruolo importante anche per disturbi alimentari come l’anoressia o il disturbo da binge-eating.

Il consiglio ai genitori, conclude la ricercatrice, è di non usare il cibo per calmare i figli. «Meglio farli sedere – conclude – e parlargli su come si sentono, e se sono piccoli, abbracciarli».


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L’Oms ha riconosciuto ufficialmente la dipendenza da videogame come una patologia.

Il ‘gaming disorder’ è stato infatti inserito nel capitolo sulle patologie mentali dell’International Classification of Diseases (ICD), l’elenco ufficiale delle malattie il cui aggiornamento è stato appena pubblicato. Secondo il nuovo elenco, che contiene oltre 55mila diverse malattie, la dipendenza da gioco digitale consiste in «una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita».

Tra le altre caratteristiche della patologia, ha spiegato Vladimir Poznyak, del dipartimento per la salute mentale dell’Oms durante una conferenza stampa, c’è «il fatto che anche quando si manifestano le conseguenze negative dei comportamenti non si riesce a controllarli» e «il fatto che portano a problemi nella vita personale, familiare e sociale, con impatti anche fisici, dai disturbi del sonno ai problemi alimentari».

L’inserimento nell’elenco, hanno spiegato gli esperti dell’Oms, dovrebbe aiutare i medici a formulare più facilmente una diagnosi. «Abbiamo deciso di inserire questa nuova patologia – ha affermato Poznyak – sulla base degli ultimi sviluppi delle conoscenze sul tema».


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Non andare sopra i 3000 metri, scegliere escursioni non troppo faticose e portarsi sempre dietro una scorta d’acqua: sono alcuni degli accorgimenti indicati per chi pensa ad una vacanza in montagna e soffre di ipertensione.

E’ un falso mito infatti che la montagna causi problemi a chi ha la pressione alta, se si seguono delle regole semplici come quelle indicate nel decalogo del ‘Buonsenso ad Alta Quota’. Il primo consiglio è di evitare di andare oltre i 2500-3000 metri, perché la pressione arteriosa aumenta a causa dell’aria più rarefatta e dell’assenza di ossigeno, e di premunirsi contro le basse temperature, che portano ad un naturale innalzamento della pressione. Meglio limitare le attività intense, perché la fatica fa aumentare la pressione.

Quindi sì alle escursioni, ma con moderazione e in luoghi che non richiedano grandi impegni. È bene poi evitare grappe, liquori, e fumo, e se si ha un calo dell’appetito (chiamato ‘anoressia da alta quota’), causato dalla mancanza di ossigeno, si consiglia di fare più spuntini durante il giorno con cibi facilmente digeribili e in piccole quantità, evitando quelli più grassi e ricchi di sale.

Durante le passeggiate ricordarsi di portare sempre con sé almeno mezzo litro d’acqua, e anche in vacanza non dimenticarsi di prendere i propri farmaci, senza considerare il fuso orario. Se si viaggia in aereo, vanno messi in un sacchetto di plastica a parte, ricordando che sopra i 3500 metri i farmaci smettono di fare effetto.

Infine è consigliabile monitorare i propri dati sanguigni con costanza, anche a domicilio, portare con sé un foglio con le proprie generalità, eventuali allergie, malattie e medicine assunte, e un kit di sopravvivenza, con repellenti per insetti, bende elastiche, lassativi, antiinfiammatori, antibiotici, antidiarroici, antidolorifici, cerotti, sonniferi, apparecchio per la pressione, bombolette di ossigeno.


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