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Di recente, il colosso della condivisione di immagini, uno dei social network più in voga tra i giovanissimi, ha deciso di rendere più dura la vita a chi cerca contenuti relativi ai disordini alimentari sul suo sito. 

Fra i tanti problemi che si trovano ad affrontare i piani alti delle aziende dei social media, quello della glorificazione dei comportamenti dannosi, per se stessi o per gli altri, e la loro emulazione, è sicuramente uno dei più complessi. Youtube, Facebook, Twitter e Instagram, sono tutti – chi più, chi meno – alla ricerca di strategie per ridurre il fenomeno che può riguardare tantissimi comportamenti, dalle tecniche per costruire armi in casa a come indursi il vomito per non ingrassare, fino alla “gara” a chi si procura più tagli sul corpo.

Il confine tra libertà d’espressione e il rischio di arrecare danno agli altri utenti può essere davvero sottile.

Di recente, Instagram, il colosso della condivisione di immagini e uno dei social network tra i più utilizzati tra i giovanissimi, ha deciso di rendere più dura la vita a chi cerca contenuti relativi ai disordini alimentari sul suo sito.

Già nel 2012 aveva creato una lista di hashtag impossibili da cercare, inclusi quelli relativi ad anoressia e bulimia, inviando la ricerca a pagine di informazione sul disturbo, con tanto di numeri verdi da chiamare.

Nonostante ciò, di recente si è scoperto che un gran numero di parole, inclusi alcuni hashtag che “promuovono” la bulimia, non erano stati inseriti nella “lista nera”.

Inoltre, se si inseriva “bulimia” nella barra di ricerca di Instagram, venivano fuori anagrammi della parola, creati dagli stessi utenti per aggirare le liste bloccate. Cliccandoci sopra si rischiava di ritrovarsi su pagine potenzialmente dannose.

A ottobre del 2017, una ricerca dell’Università di Exeter ha rilevato la presenza di un numero allarmante di account sui vari social media con contenuti che incoraggiavano i comportamenti legati ai disordini alimentari. Un altro studio dell’Università di Adelaide aveva scoperto che le donne che usavano l’hashtag “fitspiration” (termine che richiama la perdita di peso) su Instagram avevano un rischio maggiore di sviluppare un disordine alimentare.

A seguito dell’inchiesta della BBC, Instagram ha aggiornato la sua policy aggiungendo una serie di parole alla lista bloccata, inclusi gli anagrammi e spelling “sbagliati” relativi ai disordini alimentari.

Il sito ha dichiarato che farà tutto il possibile per continuare a dare assistenza alle persone più a rischio per lo sviluppo di disturbi mentali: “Con tutti i giovani che vengono su Instagram per connettersi agli altri, condividere e scoprire cose nuove, la nostra priorità è far sì che lo facciano in un ambiente sicuro”, è quanto ha dichiarato un portavoce del social network a The Independent.

“Non possiamo tollerare contenuti che incoraggiano le persone a sviluppare un disordine alimentare e usiamo tutti gli strumenti e le tecnologie a nostra disposizione per individuarli ed eliminarli”. Ma non finisce qui: “Non ci limitiamo a rimuovere contenuti e hashtag, ma cerchiamo di offrire alle persone che postano determinati contenuti la possibilità di accedere a consigli e assistenza, rivolgendosi anche direttamente a Papyrus UK o ai Samaritans”.

Gli esperti di comunicazione sanno che la consapevolezza e la possibilità di accedere a una rete di sostegno sono elementi essenziali per intraprendere un percorso di ricerca di aiuto.

A febbraio 2018, uno studio commissionato dalla Beat (una Fondazione sui disordini alimentari che agisce nel Regno Unito), ha rivelato che più di un terzo degli adulti britannici non è in grado di riconoscere i sintomi di un disordine alimentare. Gli oltre duemila intervistati erano più inclini a considerare la perdita di peso o il desiderio di essere magri come indicatori di un disturbo alimentare piuttosto che una bassa autostima o lo sviluppo di un rapporto ossessivo col cibo.

“Questi risultati sono preoccupanti – afferma Andrew Radford, direttore esecutivo della Beat – perché sappiamo che la mancanza di consapevolezza può impedire, a chi ne ha bisogno, di accedere alle cure”.

La pagina di “aiuto” per i disordini alimentari nella versione italiana di Instagram esiste, ma rimanda solo ad enti e associazioni inglesi. Per maggiori informazioni si può fare riferimento al sito del Ministero della Salute.


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Molto social sul web, poco social nella vita quotidiana. La triste equazione emerge da uno studio recentemente pubblicato dall’American Journal of Preventive Medicine. Chi è molto attivo sui social media vive il contrappasso di non avere il senso di appartenenza a una comunità.

Brian Primack, direttore del Center for Research on Media, Technology and Health presso l’Università di Pittsburgh, ha condotto uno studio per valutare quanto il tempo trascorso dagli utenti dei servizi come Facebook, YouTube, Twitter, Instagram, Reddit, Vite e LinkedIn potesse condizionare un eventuale isolamento sociale.

Il team di Primack ha registrato come rispetto alle persone che trascorrono non più di mezz’ora sui social media ogni giorno, coloro che dedicano almeno due ore al giorno ai social media riferiscano l’esperienza della sensazione di isolamento in una percentuale quantificabile intorno al 50%. “Questi risultati dovrebbero essere considerati come un ammonimento”- ha detto Primack – considerando che l’isolamento sociale è associato ad un peggioramento generale dello stato di salute con possibilità di esacerbazione di alcuni sintomi di malattie diverse e con rischi di riduzione della sopravvivenza”.

I ricercatori hanno esaminato 1.787 adulti di età compresa tra 19 e 32 anni nel 2014 e il loro uso delle 11 piattaforme di social media più popolari al momento: Facebook, YouTube, Twitter, Google Plus, Instagram, Snapchat, Reddit, Tumblr, Pinterest, Vine e LinkedIn. Circa la metà dei partecipanti erano uomini e l’altra metà donne, selezionati sulla base dei dati demografici degli Stati Uniti. Più della metà sono stati impegnati in relazioni interpersonali. Circa il 26% dei partecipanti ha detto che trascorreva più di due ore al giorno sui social media, e circa il 23% ha detto di aver visitato i social almeno 58 volte nel corso della settimana. I visitatori più assidui, avevano circa il triplo delle probabilità di percepire isolamento sociale rispetto a coloro che si collegavano i ai social media meno di nove volte a settimana.

Le conclusioni
Lo studio non prova direttamente che i social media provochino l’isolamento, ed è possibile che, nello studio, le persone che già sentivano meno in contatto con altre nella vita reale abbiano speso più tempo sui social. E’ difficile definire esattamente le motivazioni di questi risultati e diverse sono le spiegazioni plausibili. Una è rappresentata dal fatto che le persone che trascorrono molto tempo sui social media non abbiano poi molto tempo da trascorrere per socializzare nella vita reale. E’ anche possibile che i partecipanti allo studio non avessero una precisa percezione del tempo trascorso sui media e le loro percezioni potrebbero essere diverse da quelle delle persone anziane. In conclusione Primack spera che i risultati dello studio possano aiutare tutti i frequentatori dei social media a considerare il tempo speso in maniera più critica e consapevole così da poterne trarre dei reali benefici.

Fonte: Am J Prev Med 2017 
Lisa Rapaport


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Passi incessantemente dalla tua pagina Facebook a Twitter per poi andare ad aggiornare Instagram o altri social cui sei iscritto? Il rischio è di sviluppare depressione e ansia.

Una ricerca Usa mostra che i giovani attivi su tanti social (fino a 11 diversi), indipendentemente dal tempo trascorso complessivamente su di essi, hanno un rischio più che triplo di ansia e depressione rispetto a coetanei per nulla attivi o che usano al massimo due sole piattaforme.

Lo rivela una ricerca condotta da esperti della University of Pittsburgh Center for Research on Media, Technology and Health (CRMTH). L’analisi è stata pubblicata sulla rivista Computers in Human Behavior ed ha coinvolto un campione di quasi 1800 giovani che sono stati monitorati per vedere se presentassero ‘segni’ di depressione e ansia e a che livello. A tutto il campione è stato anche chiesto di riferire quali e quanti tra questi social erano soliti usare: Facebook, YouTube, Twitter, Google Plus, Instagram, Snapchat, Reddit, Tumblr, Pinterest, Vine e LinkedIn.

“Il legame trovato tra uso di molti social e rischio ansia e depressione è così forte che i clinici dovrebbero tenerne conto e chiedere ai propri pazienti depressi e ansiosi che uso fanno dei social per poi dare adeguato supporto e counseling per aiutare i pazienti stessi a limitarne l’uso”, dichiara l’autore del lavoro Brian Primack.

ANSA


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