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Che si manifesti con problemi di addormentamento, mal di testa o dolori allo stomaco, lo stress non risparmia i bambini. Ma, per aiutarli a ridurlo, un animale da compagnia può fare la differenza.

A verificarlo attraverso uno studio che ha messo a confronto i livelli di cortisolo, l’ormone prodotto dal corpo per rispondere a situazioni stressanti, è uno studio pubblicato su Social Development. Studi precedenti hanno dimostrato che cani e gatti aiutano gli adulti a calmarsi e quindi ridurre lo stress.

Per verificare se lo stesso accade per i bambini, i ricercatori dell’Università della Florida (UF) di Gainesville, guidati da Darlene Kertes, del dipartimento di psicologia, hanno incluso nel loro studio circa 100 bimbi tra i 7 e i 12 anni. Per testare i livelli di stress, i ricercatori hanno chiesto loro di impegnarsi in due compiti noti per aumentare i livelli di cortisolo, ovvero parlare in pubblico e compiere operazioni di aritmetica mentale. Hanno assegnato in modo casuale i bambini a 3 gruppi: uno doveva completare i compiti stressanti in presenza del proprio cane, un gruppo in presenza del proprio genitore, un terzo gruppo senza nessun sostegno. Per valutare i loro livelli di cortisolo, sono stati raccolti campioni di saliva prima e dopo aver completato il compito.

I risultati hanno rivelato che i bambini che hanno giocato e accarezzato i loro cani, avevano più bassi livelli di cortisolo rispetto ai bambini che non avevano interagito con l’animale.

ANSA


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È quanto emerge da uno studio di piccole dimensioni, condotto nel Regno Unito e pubblicato da BMC Psychiatry. Dei 54 partecipanti allo studio, 25 hanno considerato i loro animali domestici come facenti parte della loro rete sociale. E circa il 60% degli animali è stato collocato nel cerchio più vicino al proprietario, e il 20% li ha posti nel secondo cerchio.

Secondo quanto suggerisce uno studio di piccole dimensioni, condotto nel Regno Unito e pubblicato da BMC Psychiatry, gli animali domestici da compagnia, potrebbero svolgere un ruolo attivo nel trattamento a lungo termine dei problemi di salute mentale dei loro proprietari.

Helen Brooks e colleghi, della University of Manchester, hanno intervistato 54 persone che avevano già ricevuto una diagnosi di problemi di salute mentale a lungo termine, e hanno dedicato particolare attenzione all’esperienza quotidiana del vivere giorno per giorno con una malattia mentale. I ricercatori hanno, in pratica, chiesto ai partecipanti di valutare il rapporto, il valore e il significato degli animali domestici nella loro vita. Allo scopo i partecipanti allo studio hanno ricevuto un diagramma con tre cerchi concentrici attorno ad una piazza che rappresentava il proprietario dell’animale. È stato chiesto loro di scrivere i nomi di persone, luoghi e cose che hanno dato loro un sostegno. Ebbene, dei 54 partecipanti, 25 hanno considerato i loro animali domestici come facenti parte della loro rete sociale. E circa il 60% degli animali è stato collocato nel cerchio più vicino al proprietario, e il 20% li ha posti nel secondo cerchio.

Helen Brooks ha in primo luogo sottolineato che diversi animali, in questo studio, sono stati visti come il supporto sociale più importante e centrale nella vita dei proprietari, fornendo spesso rapporti sicuri e altrimenti non disponibili con altri esseri umani. In proposito uno dei partecipanti parlando del suo cane ha detto di potersi fidare di lui più che delle persone. E un altro partecipante, riferendosi al suo gatto, lo ha reputato in grado di percepire da solo, senza bisogno di chiamarlo, quando avesse bisogno di compagnia. In definitiva gli autori ritengono che i loro risultati siano molto indicativi su quanto un animale domestico possa essere d’aiuto al suo proprietario, specie se malato di mente, anche fornendo una presenza fisica costante. Altri ricercatori hanno valorizzato lo studio precisando come in Australia e negli Stati Uniti l’impiego di animali domestici bisognosi di cure, se per esempio affidati ad anziani soli, a loro volta bisognosi di attenzione e compagnia, abbaia già portato a buoni risultati.

Fonte: BMC Psychiatry 2016


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