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«Da Bach ai Led Zeppelin, ascoltare la musica preferita produce felicità e benessere in grado di allungare la vita in salute. La musica infatti si dimostra un prodigio: nei disturbi dell’umore, disagio psichico, depressione è efficace come i farmaci ansiolitici e antidepressivi». I ricercatori della Comunità mondiale della longevità (Cmdl) promuovono a pieni voti la musicoterapia, soprattutto nell’approccio medico riabilitativo.

La nuova frontiera della neuroscienza ispirata all’arte dei suoni è stata oggetto di un convegno a Cagliari organizzato dalla stessa Comunità che studia i centenari insieme all’Istituto europeo di ricerca Ierfop e alla Società italiana di medici fisica riabilitativa (Simfer), guidata da Mauro Piria.

«Accoppiata al canto la musica è un toccasana nei deficit di lettura e apprendimento – spiega Roberto Pili, presidente della Cmdl – ma è nelle malattie neurodegenerative tipiche dell’invecchiamento, quali demenza e Parkinson, che dà il meglio di sé. La pratica musicale, specie se iniziata in giovane età , aumenta la cosiddetta ‘riserva cognitiva’, quel tesoretto di capacità e funzionalità cerebrale che in età anziana contrasta lo sviluppo della demenza».

«Stupefacenti – osserva il ricercatore – i risultati della musicoterapia nel Parkinson e nelle paresi. Abbinare il movimento di questi malati a un brano musicale molto ritmato porta infatti a miglioramenti immediati». «L’ascolto attivo della musica migliora lo stato mentale e fisico, predispone all’empatia e alla socializzazione, elementi che esaltano la qualità della vita, la fortificano, la allungano – argomenta ancora Roberto Pili – è un’esperienza formativa che investe e allena tutto il cervello, cabina di regia della vita, cervello che risponde attivando i centri della gratificazione, empatia, socialità, vera chiave di felicità e benessere, stati d’animo in grado di allungare l’aspettativa di vita di almeno 10 anni».

ANSA


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La playlist giusta nelle orecchie e via di slancio a fare ginnastica. L’abitudine ad ascoltare musica mentre ci si tiene in forma ha dei risvolti positivi: può aiutare infatti a sentirsi meno affaticati, merito del fatto che attiva una regione del cervello collegata proprio a una minor risposta allo sforzo.

Lo rileva una ricerca della Brunel University London, pubblicata sulla rivista International Journal of Psychophysiology. Lo studio ha preso in esame 19 adulti sani, che hanno svolto degli esercizi utilizzando un anello di presa per rinforzare le mani. Questa attività è stata scelta appositamente per consentire agli studiosi di svolgere con maggiore semplicità una scansione cerebrale su di loro.

I partecipanti hanno eseguito 30 serie di esercizi, della durata di 10 minuti ciascuno. Durante alcune di queste serie, hanno ascoltato in particolare la canzone “I Heard It Through The Grapevine”. L’autore principale Marcelo Bigliassi e i suoi colleghi hanno scoperto che la presenza della musica era associata a una maggiore energia durante l’esercizio oltre che a un aumento di pensieri che non erano direttamente collegati a ciò che i partecipanti stavano facendo.

Hanno anche osservato dei cambiamenti in una particolare regione del cervello quando gli esercizi venivano svolti con la musica: il giro frontale inferiore sinistro, che è come un ‘hub’ che raccoglie le varie sensazioni, elaborando le informazioni da fonti interne ed esterne.

«L’aumento dell’attivazione di questa regione – spiega Bigliassi – è stato negativamente correlato con le risposte allo sforzo, il che significa che più questa regione è risultata attiva meno i partecipanti hanno sperimentato affaticamento».

ANSA


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E’ uno studio che dovrebbero leggere tutti i genitori interessati al curriculum di studio dei propri figli. Imparare uno strumento musicale o una lingua straniera sarebbero in grado di ‘modellare’ la funzionalità di alcune aree cerebrali, migliorandone l’efficienza. In un mondo dominato dagli studi scientifici, questa ricerca rivaluta gli studi umanistici. E non solo sul piano della cultura.

Suonare la chitarra (o un altro strumento) e imparare una lingua rendono più smart il cervello. Uno studio appena pubblicato su Annals of the New York Academy of Sciences dimostra infatti che musicisti e persone bilingue impiegano meno risorse cerebrali per portare a termine un esercizio di memoria.

Le persone con alle spalle studi di musica o di lingue infatti per completare un esercizio attivano circuiti cerebrali diversi, con un ‘dispendio energetico’ inferiore rispetto a chi conosce una sola lingua o non ha mai effettuato studi musicali.

“Sono risultati che dimostrano che i musicisti e le persone bilingue fanno meno fatica a completare un certo compito – commenta il primo autore dello studio Claude Alain, del Baycrest Rotman Research Institute –  un effetto questo che potrebbe proteggere dal declino cognitivo e comunque ritardare l’esordio della demenza”. La musica e le lingue straniere insomma in qualche maniera modellano funzioni cerebrali e reti neurali utilizzate per l’esecuzione di un determinato compito.

I risultati di questo studio non giungono del tutto inaspettati. E’ noto da tempo infatti che musicisti e poliglotti sono dotati di una migliore memoria di lavoro, cioè della capacità di ricordare le cose (un numero di telefono, la lista della spesa, un compito matematico). Quello che non si sapeva invece era perché ciò accada.

La ricerca appena pubblicata è il primo studio di imagingcerebrale a studiare, confrontandoli tra loro, tre gruppi di persone e questo ha portato a scoprire che una stessa attività sollecita il funzionamento di parti diverse del cervello nelle persone assegnate a questi gruppi. A finire sotto la lente dei ricercatori è stato il cervello di 41 giovani adulti (età compresa tra i 19 e i 35 anni), distribuiti in tre gruppi in base al fatto di essere madrelingua inglesi e a digiuno di musica, musicisti madrelingua inglesi o bilingui non in grado di suonare uno strumento musicale.

Ognuno di loro è stato sottoposto ad uno studio di neuro-imaging funzionale mentre veniva chiesto loro se il suono somministrato nel test fosse della stessa natura di quello precedentemente ascoltato. I suoni del test potevano essere prodotti da strumenti musicali, dall’ambiente o dall’uomo. Ai partecipanti veniva inoltre richiesto di indicare se il suono ascoltato provenisse dalla stessa direzione del precedente.

I risultati dimostrano che i musicisti tendono a ricordare la tipologia del suono più rapidamente di chi non suona uno strumento; bilingui e musicisti sono invece in grado di indicare la direzione di provenienza del suono con maggior precisione. I bilingui infine non sono andati molto meglio di chi parla una sola lingua e non suona uno strumento nel compito di ricordare il suono; tuttavia, nel completare il compito, mostrano comunque un’attività cerebrale ridotta.

“I bilingue – sottolinea Alain – impiegano più tempo a processare i suoni, poiché l’informazione deve attraversare due ‘biblioteche’ linguistiche, anziché una sola. Durante l’esercizio il cervello dei bilingui mostra maggiori segni di attivazione nelle aree adibite alla comprensione del linguaggio e questo supporta questa teoria”.

Il gruppo di ricerca di Alain vaglierà adesso, in un nuovo studio, un’altra ipotesi: lo studio del’arte e della musica sono in grado di modificare alcune funzioni del cervello? La risposta alla prossima pubblicazione.


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L’apprendimento della musica migliora le connessioni cerebrali nei bambini sani e potrebbe risultare utile in quelli con disturbi dello spettro autistico e disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). È quanto emerge da uno studio condotto in Messico e pubblicato da RSNA.

L’apprendimento della musica migliora le connessioni cerebrali nei bambini sani e potrebbe risultare utile in quelli con disturbi dello spettro autistico e disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). È quanto emerge da uno studio condotto in Messico e pubblicato da RSNA. Gli studiosi hanno riscontrato che dopo nove mesi di lezioni nei bambini sani, l’imaging del tensore di diffusione (DTI) rivelava una crescita delle fibre cerebrali e nuove connessioni in aree del cervello associate a disturbi dello spettro autistico e disturbo da deficit di attenzione/iperattività.

”L’esperienza musicale, quando si è molto piccoli, può contribuire a un miglior sviluppo cerebrale, ottimizzando la creazione e la fissazione di reti neurali, Inoltre favorisce il processo di mielinizzazione e stimola i tratti impegnati nelle regioni frontali, in particolare il forceps minor”, ha commentato Pilar Dies-Suarez, primario di radiologia presso l’ Hospital Infantil de Mexico Federico Gomez a Città del Messico, principale autrice dello studio. Il forceps minor è un fascio di fibre che collega le superfici laterali e mediali dei lobi frontali e si estende attraverso l’estremità anteriore del corpo calloso. Recentemente è stato studiato il suo coinvolgimento nei disturbi e nelle patologie legate alla corteccia frontale.

Lo studio
I ricercatori hanno studiato 23 bimbi di cinque e sei anni, senza una storia clinica di disturbi sensoriali, della percezione o neurologici. Nove di questi bambini avevano precedentemente seguito delle lezioni di discipline artistiche. Prima e dopo nove mesi di training musicale, questi bambini sono stati sottoposti a risonanza magnetica DTI, che individua cambiamenti microstrutturali nella materia bianca del cervello.

Dopo le lezioni di musica, i risultati dell’imaging del tensore di diffusione hanno mostrato un incremento nell’anisotropia funzionale in diverse aree del cervello, specialmente nel forceps minor. “Quando un bambino riceve un’istruzione di tipo musicale, il suo cervello viene spinto a eseguire diversi compiti”, aggiunge Dies-Suarez. “Tra questi figurano capacità uditive, cognitive, emotive e sociali, che sembrano attivare queste diverse aree del cervello. Tali risultati potrebbero essere emersi dalla necessità di creare maggiori connessioni tra i due emisferi del cervello”. Con ulteriori studi e repliche, i ricercatori sostengono che i loro risultati potrebbero essere utili alla creazione di strategie mirate di intervento in disturbi come autismo e ADHD.

Fonte: RSNA 2016


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