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È un legame a doppio filo quello tra parodontite e diabete di tipo 2: molti diabetici vanno infatti incontro a questa patologia, ma vale anche il contrario. La buona notizia, però, è che migliorando la salute orale migliora anche il controllo dei livelli glicemici.

È quanto emerge da uno studio dell’Università di Barcellona, pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Periodontology.

La ricerca è stata condotta su 90 pazienti con diabete di tipo 2 che hanno ricevuto trattamenti per migliorare la salute orale per sei mesi. Durante questo periodo, sono stati sottoposti anche all’esame dell’emoglobina glicata, nonché a test per individuare la presenza di popolazioni di batteri orali che causano la parodontite, oltre che al controllo di altri parametri clinici.

“La conclusione principale – spiega uno degli autori della ricerca, José López López – è che il trattamento non chirurgico della parodontite migliora lo stato glicemico e i livelli di emoglobina glicata, e quindi lo studio dimostra la grande importanza della salute orale in questi pazienti”.

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Il diabete provoca ogni anno quasi lo stesso numero di decessi causati dal cancro, 130 mila contro 160 mila morti, ma la patologia continua ad essere tuttora sottostimata.

In Italia circa 10 milioni di persone sono ad alto rischio di sviluppare diabete, di cui circa un quarto avrà la malattia nei prossimi 10 anni se non si farà nulla per evitarlo.

La Fondazione Diabete Ricerca Onlus e la Società Italiana di Diabetologia scendono in campo per informare con la campagna “Sfidiamo il diabete” nell’ambito della Giornata mondiale 2017.

Il diabete mellito è sempre più diffuso in Italia, ne soffrono circa 4 milioni di persone, con un impegno sempre più  gravoso per il Servizio Sanitario Nazionale. Ogni 10 minuti una persona con diabete viene colpita da infarto o ictus, oppure sviluppa un problema serio alla vista, spiegano gli esperti. Ogni 52 minuti una persona con questa patologia subisce un’amputazione, ogni 4 ore un paziente deve iniziare la dialisi e ogni 5 minuti una persona muore a causa del diabete stesso o se ne soffre come concausa importante.

«Le persone con diabete devono essere assistite con un approccio multi-professionale e multi-dimensionale in atto da tempo – indicano – quest’anno ricorre il trentennale della legge 115 che ha di fatto formalizzato la cura presso quella rete di centri diabetologici che costituisce una peculiarità italiana per la sua diffusione capillare».

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Alzarsi dalla sedia e muoversi ogni mezz’ora fa bene in caso di diabete. Le recenti linee guida dell’Associazione Americana del Diabete riguardanti l’esercizio fisico nelle persone con diabete o prediabete, sottolineano l’importanza di stare meno seduti e muoversi più spesso.

«Fare più attività fisica» evidenzia Roberto Miccoli, del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa «è sicuramente un buon consiglio per tutti, soprattutto per chi ha il diabete tipo 2. Uno stile di vita sedentario, infatti, si associa a molteplici rischi, che vanno dallo sviluppo del diabete alle complicanze cardiovascolari della malattia».

«Uno studio recente ha dimostrato che interrompere prolungati periodi di posizione seduta con brevi intervalli di esercizio fisico leggero si associa ad un migliore controllo della glicemia» aggiunge Miccoli «quindi se si lavora per 6-7 ore dietro una scrivania, si partecipa a lunghe riunioni o si sta davanti alla tv, secondo gli esperti dell’Ada è consigliabile alzarsi ogni 30 minuti e muoversi per almeno 3 minuti. Tali brevi esercizi non dovrebbero, ovviamente, rimpiazzare il normale programma di attività fisica del singolo, ma dovrebbero aggiungersi ai 120-150 minuti di esercizio leggero da compiere ogni settimana».

«Fare 30 minuti di esercizio al giorno, come risulta da due recenti pubblicazioni sulla rivista Diabetologia» conclude l’esperto «riduce il rischio di diabete del 25% e camminare per 10 minuti dopo i pasti può abbassare la glicemia del 22%. In definitiva, adottare uno stile di vita attivo, può ridurre il rischio di diabete ed aiuta a migliorare la salute di coloro che ne sono già affetti».

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Vivere in città aumenta il rischio di diabete, e in Italia il 52% delle persone con questa malattia risiede nei primi 100 centri urbani.

Lo affermano i dati presentati all’evento promosso a Roma da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation e da Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, per celebrare la decima edizione dell’Italian Barometer Diabetes & Obesity Forum.

Una persona su tre con diabete, hanno spiegato gli esperti, risiede nelle 14 città metropolitane italiane, e a Roma è diabetico il 6,5% della popolazione, contro il 5,4% della media nazionale. «Con ‘diabete urbano’ si vuole definire la malattia diabetica che riguarda le persone che vivono nelle aree urbanizzate – spiega Andrea Lenzi, Presidente di Health City Institute – ambiente che, come è ben dimostrato, influenza il modo in cui le persone vivono, mangiano, si muovono, tutti fattori che hanno un impatto sul rischio di sviluppare il diabete».

Il 70% dei diabetici italiani, è emerso durante l’evento, ha più 60 anni. La malattia è la causa di morte unica o in concorso con altre patologie per 100mila persone l’anno, con le regioni del Sud che però hanno i valori maggiori di prevalenza e mortalità.

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