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Le donne che in gravidanza fanno regolarmente un pisolino pomeridiano corrono meno rischi di dare alla luce un figlio con un basso peso alla nascita. È quanto emerge da uno studio cinese pubblicato da Sleep Medicine.

Un basso peso alla nascita, meno di 2.500 grammi, è associato a esiti negativi per la salute nell’infanzia e nell’età adulta, tra cui malattie respiratorie, diabete e ipertensione. Negli Usa circa l’8% dei bambini nasce con un peso inferiore alla media. Lulu Song e colleghi, della Huazhong University in Cina, hanno analizzato oltre 10mila donne che hanno preso parte allo studio cinese Healty Baby Cohort 2012-2014. Il gruppo comprendeva 442 donne che avevano avuto figli con basso peso alla nascita.

Dai risultati è emerso che, rispetto alle madri che non facevano il pisolino, le donne che si addormentavano un’ora, un’ora e mezza nel pomeriggio avevano circa il 29% di probabilità in meno di avere un figlio con un basso peso alla nascita. E anche la frequenza del pisolino sembrerebbe giocare un ruolo importante. Le donne che si riposavano il pomeriggio per 5-7 giorni alla settimana avevano il 22% in meno di probabilità di dare alla luce figli sottopeso.

Le conclusioni
Lo studio in realtà non dimostra direttamente che l’abitudine del pisolino in gravidanza sia in grado di influenzare il peso alla nascita dei bambini. Tuttavia, i risultati di questa ricerca “aggiungono prove al fatto che è importante conoscere le buone pratiche del sonno in gravidanza”, dice Louise O’Brien dell’Università del Michigan di Ann Arbor, non coinvolta nello studio. “Molti comportamenti del sonno sono modificabili e se il pisolino rappresenta un rischio, allora dobbiamo capire perché”, precisa l’esperta. E dunque è importante che negli studi futuri si tenga traccia della durata effettiva del sonno e non ci si basi solo sulle informazioni riportate dalle donne.

“Il basso peso alla nascita è uno dei risultati più temuti in gravidanza e una nuova comprensione dei fattori che giocano un ruolo è ben accetta”, conclude Ghada Bourjeily, della Brown University di Providence, negli Usa, anche’essa non coinvolta nello studio. “Il sonno, la sua qualità e la durata stanno emergendo come fattori di rischio per varie complicanze perinatali”.

Fonte: Sleep Medicine


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Fare attività fisica in gravidanza può abbreviare i tempi del travaglio di 50 minuti e renderlo più tranquillo. Benefici si hanno con esercizi regolari del pavimento pelvico, jogging e allenamento con i pesi.

E’ quanto emerge da uno studio guidato dall’Università Politecnica di Madrid, pubblicato sulla rivista European Journal of Obstetrics & Gynecology and Reproductive Biology.

Gli studiosi hanno monitorato 508 donne a partire dal primo trimestre di gravidanza. A metà di loro è stato assegnato il compito di fare tre allenamenti di un’ora a settimana a ritmo moderato, mentre alle altre è stato fornito solo un counseling prenatale. Oltre la metà delle partecipanti alla ricerca hanno partorito naturalmente, ed è stata osservata un’importante disparità tra coloro che si erano esercitate in maniera regolare e coloro che invece non lo avevano fatto.

Il gruppo che aveva fatto attività fisica aveva una durata totale media del travaglio di sette ore e mezza (450 minuti), mentre in chi aveva ricevuto solo il counseling prenatale occorrevano circa otto ore e mezza (500 minuti) prima della nascita del bimbo. Gli studiosi spiegano che è probabile le donne che sono fisicamente in forma abbiano muscoli più forti che le aiutano a sostenere il percorso che porta al parto, in particolare nella fase di spinta, per questo sperano che i risultati incoraggino a non temere l’esercizio fisico durante la gestazione tenuto conto anche del fatto che è fondamentale per prevenire complicazioni potenzialmente pericolose durante il travaglio.

ANSA


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Una o più bevande zuccherate gassate al giorno mettono a rischio la fertilità, riducendo le chance di una gravidanza. Il problema è più grave se a consumarle sono gli uomini.

Attraverso il Pregnancy Study Online (PRESTO), uno studio prospettico online di coppie nordamericane, i ricercatori hanno intervistato 3.828 donne tra 21 e 45 anni residenti negli Usa o in Canada e 1.045 tra i loro partner maschi. I partecipanti hanno completato un’indagine di base completa sulla storia medica, lo stile di vita e la dieta, compreso il consumo di bevande zuccherate. Le partecipanti donne hanno quindi completato un questionario di follow-up , cioè di aggiornamento, ogni due mesi per un massimo di 12 mesi o fino alla gravidanza.

L’assunzione sia femminile che maschile di bevande zuccherate è risultata associata a una fecondabilità, cioè la probabilità media mensile di concepimento, ridotta del 20%. Coloro che consumavano almeno una bevanda gassata zuccherata al giorno avevano una fecondabilità inferiore del 25%, mentre il consumo maschile era associato a una fecondabilità inferiore del 33%. L’assunzione di bevande energetiche era correlata a riduzioni ancora maggiori della fertilità, sebbene i risultati fossero basati su un numero limitato di consumatori. E’ stata riscontrata invece una scarsa associazione tra il consumo di succhi di frutta o bibite dietetiche e la fertilità.

«Le coppie che pianificano una gravidanza – evidenzia l’autrice principale della ricerca Elizabeth Hatch – potrebbero considerare di limitare il consumo di bevande zuccherate gassate, specialmente perché sono anche correlate ad altri effetti avversi sulla salute».

ANSA


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I bambini nati da mamme che, durante la gravidanza, erano assidue utenti dei telefoni cellulari, hanno una maggiore probabilità di risultare affetti da iperattività rispetto agli altri bimbi. Lo studio su Environment International.

Lo studio che mette in relazione l’utilizzo smodato del cellulare in gravidanza e lo sviluppo di disturbi comportamentali nei bimbi è stato pubblicato su Environment International. Sebbene non sia stata trovata una relazione diretta causa-effetto tra le radiazioni elettromagnetiche emesse dall’uso frequente di cellulari durante la gravidanza e l’iperattività nei bambini, Laura Birks del Barcelona Institute for Global Health in Spagna e colleghi, analizzando i dati di oltre 80 mila coppie madre/figlio, hanno riscontrato che i bimbi nati da mamme “cellulare dipendente” – almeno nel periodo gestazionale – avevano oltre il 28% in più di possibilità di sviluppare problemi comportamentali rispetto agli altri bimbi. “Direi di interpretare questi risultati con cautela”, ha detto Birks.

Lo studio
Per il loro studio Birks e colleghi hanno analizzato i dati relativi a più di 80.000 coppie madre-figlio in Danimarca, Spagna, Norvegia, Paesi Bassi e Corea. E hanno trovato prove coerenti di aumentare il rischio di problemi comportamentali – in particolare, iperattività – nei bambini di età dai 5 ai 7 anni le cui madri parlavano frequentemente al cellulare durante la gravidanza. Secondo l’autrice, i risultati sono stai sorprendenti in quanto non sono noti i meccanismi biologici che legano le radiazioni elettromagnetiche ai disordini comportamentali, e l’associazione era persistente nei cinque paesi considerati.

Inoltre i figli delle madri che hanno riferito di effettuare almeno 4 chiamate al giorno o in di parlare al cellulare per più di un’ora al giorno, hanno mostrato il 28% in più di probabilità di essere iperattivi, rispetto ai figli di madri che ne facevano un uso meno frequente, dopo aver tenuto conto di una serie di variabili confondenti, come l’età materna, lo stato civile e l’educazione.

Va aggiunto che i dati raccolti riguardavano una serie di diversi periodi di tempo dal 1996 al 2011. E tra l’altro solo la prima coorte, in Danimarca a partire dal 1996, era formata da un numero sufficiente di donne che non hanno mai usato un telefono cellulare durante la gravidanza. Comunque, secondo quanto riportano gli autori, i figli di madri che non hanno mai usato i telefoni cellulari durante la gravidanza, avevano un rischio minore di problemi comportamentali ed emotivi, rispetto a tutti gli altri bambini.

Fonte: Environment International 2017

Ronnie Cohen


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Uno studio neozelandese apre un fronte in parte inedito nel campo della depressione in gravidanza, dimostrando che a soffrirne è anche un numero significativo di maschi, sia durante che nel post-partum. Una situazione che può passare inosservata se non ricercata proattivamente e che può avere pesanti ripercussioni sullo sviluppo cognitivo e psico-sociale del figli

La gravidanza è un periodo assai delicato nella vita di una donna che può sfociare nella depressione post-partum, ancora troppo spesso non riconosciuta e dunque non adeguatamente gestita. Ma adesso uno studio pubblicato da ricercatori neozelandesi su JAMA Psychiatry, attira l’attenzione sui rischi che una gravidanza può comportare anche per l’altro partner.

L’équipe di ricerca guidata da Lisa Underwood dell’Università di Auckland (Nuova Zelanda) ha già pubblicato numerosi studi sulla depressione delle madri, ma questa è la prima volta che affronta il problema da questo diverso angolo.

Lo studio appena pubblicato ha ricercato la presenza di sintomi della depressione prima della gravidanza e nel post-partum in un gruppo di 3.523 maschi, di età media 33 anni, che hanno effettuato un’intervista con i ricercatori neozelandesi mentre la compagna si trovava al terzo trimestre di gravidanza, ripetendola poi a distanza di 9 mesi dalla nascita del bambino.

La ricerca ha portato ad appurare che il 2,3% dei padri presentavano sintomi depressivi importanti in epoca pre-concepimento e che il 4,3% presentava una sintomatologia depressiva di rilievo a 9 mesi dalla nascita.

Nel corso della gravidanza, la presenza di gravi sintomi di depressione tra i maschi era correlata con lo stress e con una condizione di salute precaria; nel post-partum la depressione dei padri era invece correlata con lo stress patito durante la gravidanza , con l’eventuale rottura della relazione con la madre, con la presenza di problemi di salute, con il fatto di essere disoccupato o di avere una storia di depressione alle spalle.

“E’ solo di recente – sottolineano gli autori dello studio – che l’influenza dei padri sui figli è stata riconosciuta vitale per lo sviluppo adattativo psico-sociale e cognitivo. Visto che la depressione paterna può avere un effetto diretto o indiretto sulla prole è importante individuarne la presenza e trattarne i sintomi da subito; e ovviamente il primo passo da fare è quello di aumentare la consapevolezza del problema tra i padri.”


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Assumere integratori di vitamine e minerali in gravidanza potrebbe potenziare lo sviluppo cognitivo del nascituro con effetti a lungo termine, facendogli guadagnare in termini di abilità cognitive fino a “un anno in più di intelligenza”, all’età di 9-12 anni.

E’ quanto emerso da una ricerca condotta in Indonesia, pubblicata sulla rivista Lancet Global Health e frutto di una collaborazione mondiale di istituzioni prestigiose tra cui la Harvard T.H. Chan School of Public Health a Boston.

Il lavoro ha coinvolto decine di migliaia di donne che in gravidanza avevano assunto o integratori multivitaminici o solamente ferro più acido folico (ferro folina). Dopo parecchi anni, quando i figli di queste donne avevano ormai tra i 9 e i 12 anni, le loro abilità cognitive sono state esaminate con test ad hoc.

E’ emerso che i figli di donne che avevano assunto multivitaminici in gravidanza presentavano un livello di memoria procedurale (la memoria di come si fanno le cose e di come si usano gli oggetti) maggiore rispetto a coetanei le cui mamme avevano assunto solo ferro-folina. A parità di età, il punteggio dei primi è più alto di un valore pari alla crescita mnemonica osservabile normalmente in sei mesi. Più in generale i primi avevano capacità cognitive maggiori dei coetanei le cui mamme avevano preso solo ferro folina, con differenze pari a quelle osservabili nel bambino dopo un anno scolastico.

ANSA


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