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È stata celebrata il 12 aprile (ricorrenza della morte di Giuseppe Moscati, il “santo medico” campano deceduto il 12 aprile del 1927), la terza Giornata nazionale per l’aderenza alle terapie, appuntamento quanto mai opportuno in un Paese come il nostro, dove ben sette pazienti su dieci, colpiti da una o più malattie croniche, per una serie di svariati motivi riducono, sbagliano o abbandonano l’assunzione dei farmaci loro prescritti.

Proprio a  fronte di questa realtà e della necessità di promuovere iniziative per contrastare un fenomeno preoccupante, ulteriormente aggravato dalla pandemia, il Comitato italiano per l’aderenza alla terapia (Ciat) che riunisce 20 società scientifiche e rappresentanti di pazienti, istituzioni e medici, farmacisti e infermieri, è impegnato a istituzionalizzare la giornata, progetto che il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri sta peraltro perseguendo con un proposta di legge.

“La mancata aderenza terapeutica comporta conseguenze non solo in termini di salute dei pazienti, ma anche economiche: seguire in modo discontinuo o errato trattamenti salvavita o per malattie croniche, infatti, può causare complicanze e quindi accessi all’assistenza ospedaliera inopportuni e soprattutto evitabili. È fondamentale perciò trasferire al paziente e ai suoi caregivers l’adeguata conoscenza sulle terapie a cui è sottoposto. La comunicazione medico-paziente” ha concluso Sileri “è un momento fondamentale della pratica clinica e in questo tutti gli operatori sanitari sono chiamati a giocare un ruolo centrale e continuo”.

“La scarsa o non corretta aderenza terapeutica è un grande e sottovalutato problema che da troppi anni affligge la popolazione nel nostro Paese”  ha affermato Mauro Boldrini, vicepresidente del Ciat. “Le innumerevoli difficoltà indotte dal Covid-19, al nostro sistema sanitario nazionale, rischiano di monopolizzare l’attenzione delle istituzioni e dei medici. Esistono invece molte altre patologie altrettanto pericolose e che continuano a interessare milioni di uomini e donne. È necessario favorire nuove forme di controllo e d’assistenza sfruttando, per esempio, le grandi potenzialità offerte dalla telemedicina”.

Roberto Messina, presidente di Senior Italia FederAnziani, ha voluto ricordare come il problema sia particolarmente rilevante nelle fasce di popolazione di età avanzata. Sottolineando come Covid abbia colpito soprattutto gli anziani (sono infatti oltre 109mila gli over 80 deceduti dall’inizio della pandemia a oggi). Messina ha anche evidenziato che le restrizioni dell’emergenza pandemica, unite alla paura di accedere alle strutture sanitarie e alla sospensione di molti esami e visite su tutto il territorio nazionale,  hanno ulteriormente aggravato negli over 65 il problema della scarsa aderenza alle terapie. “Già prima della pandemia in tutta Europa si registrano oltre 194mila decessi per la mancata somministrazione dei trattamenti” ha affermato Messina. “Non c’è quindi più tempo da perdere, se vogliamo fermare questo boom di decessi e vanno avviate campagne specifiche per ribadire l’ assoluta necessità di proseguire con le cure in questo difficile momento storico”.

Il grave problema rappresentato dalla mancata aderenza alle cure sono le malattie cardiovascolari, che in Italia continuano a rappresentare la prima causa di mortalità, con più di 220.000 decessi di cui ben il 90% tra uomini e donne con più di 65 anni. Pur nella consapevolezza che uno dei maggiori fattori di rischio delle patologie cardiache è l’ipertensione arteriosa, che colpisce fino al 60% dei nostri pazienti con più di 75 anni, un paziente su tre non assume cure per questa condizione, oppure la tratta in modo inadeguato.  “Eppure si tratta di un problema che può essere tenuto sotto controllo attraverso la somministrazione di farmaci che solitamente sono ben tollerati” ha spiegato Giovambattista Desideri, direttore della cattedra di geriatria dell’Università de l’Aquila. “Un paziente su tre, però, non riceve o comunque non assume correttamente le cure con gravi conseguenze sulla salute sia della singola persona che della collettività. L’ipertensione è diventata quindi una patologia emblematica dell’enorme impatto clinico ma anche sociale rappresentato della scarsa aderenza terapeutica. Come suggeriscono tutte le linee guida internazionali la semplificazione delle modalità di assunzione dei trattamenti può favorire l’aderenza, soprattutto nell’anziano. Ciò non toglie che sia necessario anche una maggiore attenzione su questo tema”.

“Le malattie croniche interessano in totale oltre 14 milioni di uomini e donne in Italia” ha aggiunto Antonio Magi, segretario generale del Sumai, il  Sindacato unico medicina ambulatoriale italiana). “Gli over 65 rappresentano più della metà di questi pazienti ma le patologie possono colpire a qualsiasi fascia d’età. Spesso e volentieri riguardano anche gli adolescenti o addirittura i bambini. Quindi il problema della mancata aderenza investe a 360 gradi l’intera società e determina costi diretti e indiretti per tutto Paese”.

“Favorire l’aderenza alle cure, e al tempo stesso le diagnosi precoci, ci permetterebbe di risparmiare ogni anno fino a 19 miliardi di euro” ha concluso Magi.  “Sono risorse importanti che potrebbero essere reinvestite in altri settori strategici del nostro sistema sanitario nazionale. Va fatta cultura anche tra i medici perché devono impegnarsi maggiormente per la sensibilizzazione verso questo tema”.


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Non riesco a fare le scale? Andrò ad abitare al piano terra. Sono troppo stanco anche solo per un cinema? Resto in casa, tanto non mi andava. Uscire dalla vasca da bagno è un’impresa? Non importa, preferisco la doccia. La polvere mi toglie il respiro? Niente tappeti, lo sanno tutti che non sono igienici. Ecco qualche esempio di come tanti asmatici italiani si “autolimitano” piuttosto che assumere correttamente le terapie prescritte dal medico. Trucchi dribbla-cure adottati da quasi un paziente su 5, ossia il 18%, secondo un’indagine condotta da Doxa per conto di GlaxoSmithKline. E anche tra quelli che i farmaci li prendono, dilaga una “steroidofobia” che in molti casi li spinge a rinunciare alla parte antinfiammatoria del trattamento, perché «il cortisone fa paura».

Lo spiega Francesco Blasi, ordinario di Malattie respiratorieall’università degli Studi di Milano, che punta l’accento sui pericoli della mancata aderenza terapeutica: «Più riacutizzazioni e un maggior costo, sia economico per il sistema sanitario e per la società, sia per la salute del paziente in termini di qualità della vita e rischio di ricoveri in ospedale». Tra gli asmatici ai quali viene indicata una terapia inalatoria, «appena un paziente su 8 è ancora in trattamento dopo un anno; gli altri 7 l’hanno interrotta» riferisce Alberto Papi, ordinario di Malattie respiratorie all’università degli Studi di Ferrara. Addirittura, aggiunge, «un mese dopo essere uscito dall’ospedale continua a curarsi soltanto il 30%». Il 70% invece ha smesso prima: «Sta meglio e dice basta, proprio come succede con gli antibiotici» conferma Blasi.

Il problema, fotografato anche dalla nuova ricerca (il 96% degli asmatici si dice «sotto controllo» pur ammettendo sintomi seri nel 40% dei casi), è che «a pochi piace sentirsi malato e ancora meno definirsi o essere visto come tale» ragiona Papi «Ed ecco allora che scatta lo stratagemma, il meccanismo dell’adattamento e dell’autolimitazione: se una cosa non riesco a farla, semplicemente non la faccio oppure la faccio diversamente e vado avanti lo stesso».


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Per i bimbi che hanno un’infezione all’orecchio è fondamentale completare la terapia antibiotica per tutti i giorni prescritti perché “tagliarla” non porta benefici ma aumenta il rischio di una guarigione non completa.

Lo afferma un test clinico della University of Pittsburgh School of Medicine pubblicato dal New England Journal of Medicine. Lo studio è stato condotto su 520 bambini tra nove e 23 mesi di età con otite acuta media, a metà dei quali è stato assegnato il normale ciclo di amoxicillina e clavulanato da dieci giorni. Gli altri hanno ricevuto il farmaco per 5 giorni, e un placebo per i restanti.

Il rischio di fallimento della terapia è risultato del 34% nei bimbi con cura breve, più del doppio che nell’altro gruppo (16%). Una analisi dei batteri presenti nel naso ha rivelato la stessa percentuale di batteri resistenti nei due gruppi, e anche le segnalazioni di effetti avversi, dalla diarrea all’arrossamento da pannolino sono state le stesse.

La ricerca ha anche mostrato che un bambino su due che ha del fluido residuo nelle orecchie dopo il trattamento ha poi un ritorno dell’infezione, una percentuale molto superiore a quella nei bambini che hanno l’orecchio “pulito”. «Date le preoccupazioni sull’utilizzo eccessivo degli antibiotici e sulla resistenza abbiamo condotto il test per verificare se la riduzione della durata del trattamento potesse dare benefici – spiega Alejandro Hoberman, l’autore principale -, ma il risultato mostra chiaramente che una durata minore non offre nessun vantaggio».

ANSA


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