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Uno studio americano ha fotografato cosa accade nel cervello umano dopo una notte insonne. E i risultati dovrebbero far riflettere e invogliare a coltivare una migliore igiene del sonno, a cominciare dal numero di ore trascorse a dormire. Dopo una notte insonne il cervello si carica di beta-amiloide, un prodotto di scarto del metabolismo, caratteristico anche della malattia di Alzheimer, che ‘inceppa’ il normale funzionamento del cervello.

Dormire poco e perdere ore di sonno fa male alla salute, sotto tanti aspetti. Nessuno però aveva finora pensato di andare a vedere se la deprivazione acuta di sonno potesse lasciare tracce visibili a livello del cervello umano. A colmare questa lacuna ci ha pensato uno  studio pubblicato su PNAS e siglato da ricercatori dei National Institutes of Health americani in collaborazione con i loro colleghi della Yale University.

I ricercatori americani sono andati a studiare gli effetti della deprivazione acuta di sonno sulla clearance cerebrale della beta-amiloide (una sorta di ‘rifiuto’ del metabolismo). Allo studio hanno preso parte 20 volontari sani studiati con questa indagine strumentale dopo una notte di sonno ristoratore  e dopo una notte insonne.

I ricercatori hanno dimostrato che basta una notte ‘in bianco’ per far aumentare in maniera significativa il carico di beta-amiloide (considerato un fattore di rischio per Alzheimer) a livello della parte destra dell’ippocampo e del talamo. Queste alterazioni organiche si associano ad un peggioramento dell’umore, ma non sono risultate correlate al rischio genetico (il cosiddetto genotipo APOE) di malattia di Alzheimer.

Gli autori dello studio hanno anche rilevato che il carico basale di beta-amiloide, in una serie di regioni corticali e nel precuneo, risultava inversamente associato alle ore di sonno riferite.
Anche il genotipo APOE risulta correlato al carico di beta-amiloide subcorticale e questo, secondo gli autori, suggerisce che i diversi fattori di rischio per malattia di Alzheimer potrebbero influenzare in maniera indipendente il carico di beta-amiloide nelle regioni vicine.

Questi risultati insomma dimostrano che anche una sola notte ‘in bianco’ lascia dei segni a livello del cervello (l’accumulo di beta-amiloide in regione implicate nella malattia di Alzheimer) e arricchisce di un nuovo tassello il filone di studi che hanno dimostrato un maggior accumulo di beta-amiloide nel cervello delle persone con un debito cronico di sonno.

E visto che un maggior carico di beta-amiloide a livello cerebrale si associa ad alterazioni del funzionamento del cervello, qualunque strategia volta ad evitare l’accumulo di beta-amiloide, appare la benvenuta come mezzo per prevenire l’Alzheimer e per promuovere il cosiddetto ‘healthy brain aging’.


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“Aprile: dolce dormire” dice un noto proverbio e di certo i pisolini sono per molti una delle cose più amate, piccole ‘pause’ nell’ambito di giornate spesso piene di impegni. Ma come prendere il meglio dall’abitudine a fare un sonnellino?

Preferendo il pomeriggio, in particolare la fascia oraria che va dalle due alle tre nella quale è maggiore la sonnolenza post-pranzo e si interferisce meno col sonno notturno, dormendo per non più di un periodo variabile dai 15 ai 30 minuti per non sentirsi troppo confusi dopo e dandosi del tempo, una volta svegli, per riprendere le proprie attività.

A evidenziarlo è Tiffany Casper, medico di famiglia del Mayo Clinic Health System. Secondo Casper, fare dei sonnellini può dare molti benefici alla salute, come ad esempio il miglioramento dell’umore, delle prestazioni (con un tempo di reazione più rapido e una migliore memoria), più relax e un senso di affaticamento ridotto. Se i pisolini diventano però tanto importanti, fino a diventare essenziali per poter andare avanti nel corso della giornata, meglio interrogarsi sulla propria stanchezza se ad esempio non si è diventati genitori da poco o non si fanno turni di notte e rivolgersi a un medico.

«Parlare con il medico è il modo migliore per scoprire perché si sta verificando un aumento della fatica», evidenzia Casper. «Le ragioni della stanchezza potrebbero essere qualsiasi cosa, da un disturbo del sonno o apnee notturne a un eventuale effetto collaterale di un nuovo farmaco». Secondo l’esperta inoltre meglio non fare sonnellini se si soffre di insonnia o scarsa qualità del sonno durante la notte, perché il problema potrebbe peggiorare. In quest’ottica, in ogni caso, i pisolini brevi sono i migliori se si cerca di evitare inferenze col sonno notturno.

ANSA


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Dormire meno potrebbe ridurre la depressione.

Lo dimostra un maxi-studio pubblicato sul Journal of Clinical Psychiatry, basato sull’analisi dei dati di 66 studi condotti in oltre 36 anni di ricerca su questa materia.

La meta-analisi è stata coordinata da Philip Gehrman della Perelman School of Medicine della University of Pennsylvania. E’ emerso che dormire per 3-4 ore e per le restanti 21-20 restare svegli migliora i sintomi della depressione molto rapidamente, anche nel giro di un giorno. Per contro, i farmaci antidepressivi iniziano a funzionare dopo settimane di utilizzo.

Dallo studio è emerso inoltre che la metà dei pazienti depressi – indipendentemente dal sesso, dal tipo di depressione e altri parametri – possono giovarsi di questa terapia non farmacologica e ad effetto rapido.

Resta da capire in che modo la carenza di sonno – ovviamente gestita da uno specialista e non con il “fai-da-te”, che potrebbe portare solo a tanta stanchezza e conseguenze negative – eserciti i suoi effetti antidepressivi rapidi.

ANSA


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Dormire con il proprio cane fa riposare meglio, perché offre conforto e senso di sicurezza. Ma attenzione: va bene che stia nella stanza, non nel letto, perché la qualità del riposo in questo caso è sacrificata.

È quanto emerge da uno studio del Centre for Sleep Medicine della Mayo Clinic’s Arizona campus, pubblicato sulla rivista Mayo Clinic Proceedings.

Gli studiosi hanno preso in esame 40 persone che avevano un cane, sottoposte a una valutazione del sonno con il cane in camera da letto per cinque mesi. Sia i partecipanti allo studio che i loro cani hanno indossato per una settimana appositi device per tracciare con esattezza le loro attività.

I risultati hanno rivelato che, indipendentemente dalla razza del cane, il riposo era migliore se lo si aveva accanto. Ma non a letto, dove anzi la qualità del sonno era messa in crisi. «Oggi, molti proprietari di animali domestici sono lontani da loro per gran parte del giorno, e così vogliono massimizzare il tempo trascorso insieme quando sono a casa – spiega Lois Krahn, una delle autrici dello studio – averli in camera da letto durante la notte è un modo semplice per farlo. Godendo del comfort e sapendo che questo non avrà un impatto negativo sul sonno».

ANSA


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Sul sonno ci sono decine di falsi miti, a partire dal quantitativo necessario, che non è 8 ore per tutti. A descriverne 40 è stato Graham Law, presidente onorario della British Sleep Society, nel libro ‘Sleep Better: The science and the myths’.

«C’è molta mitologia su come avere una buona notte di sonno – afferma Graham -, molta della quale ha le migliori intenzioni. Tuttavia alcuni dei miti più persistenti non solo sono sbagliati, possono essere pericolosi per la salute e il benessere».

Alcuni dei luoghi comuni descritti nel libro sono piuttosto diffusi.

Non è vero ad esempio che una buona notte di sonno deve essere senza interruzioni, o che ‘un’ora dormita prima di mezzanotte equivale a due dormite dopo’. Anche le convinzioni che dormire meno fa dimagrire o che gli anziani abbiano bisogno di più sonno sono sbagliate.

Altri sono più ‘fantasiosi’, come chi crede che la testa possa esplodere durante il sonno (in realtà la ‘exploding head syndrome’ è una condizione benigna per cui si sentono dei rumori immaginari al risveglio) o che per fare un buon pisolino si debba tenere in mano un cucchiaio.

«Ho sentito centinaia di storie ed esempi da studenti e partecipanti a ricerche – spiega l’autore, che insegna all’università di Lincolnshire – ci sono 40 miti nel libro, ma ne abbiamo lasciati fuori molti molti altri».

ANSA


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I lavoratori che sono esposti alla luce solare o a quella proveniente da fonti molto luminose interne, specie durante le ore del mattino, dormono meglio di notte e tendono a sentirsi meno depressi e stressati, rispetto a quelli che non hanno a disposizione molta luce la mattina.

Una maggiore esposizione alla luce durante il giorno e una riduzione della luce durante la notte sono fondamentali per un “modello” di sonno salutare, perché aiutano a regolare l’orologio biologico circadiano. È quanto scrivono su Sleep Health Mariana Figuero e colleghi del Lighting Research Center presso il Rensselaer Polytechnic Institute di Troy (New York).

Lo studio
Per studiare il rapporto tra illuminazione dell’ambiente di lavoro e ciclo sonno-veglia, il team di ricerca ha reclutato gli impiegati di cinque edifici governativi degli Stati Uniti. Ai 109 dipendenti sono stati forniti di dispositivi che misuravano l’esposizione a varie fonti di luce durante il giorno. L’esperimento è stato condotto in estate, ma 81 partecipanti lo ha ripetuto anche d’inverno. Gli impiegati sono stati invitati a riportare i loro tempi di sonno e sveglia e a completare dei questionari sulla loro qualità dell’umore e del sonno alla fine di ogni periodo di studio. I ricercatori hanno così evidenziato che le persone che sono state esposte a maggiori quantità di luce durante le ore del mattino, tra le 8 e le 12, si sono addormentate più rapidamente di notte e hanno avuto meno disturbi del sonno notturno rispetto a quelli esposti a luci deboli di mattina. Inoltre coloro che maggiormente godevano della luce al mattino erano anche meno inclini a segnalare sintomi di depressione e stress.

Fonte:Sleep Health 2017


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Cicoria, carciofi, aglio crudo, porri e cipolle. Questi alcuni cibi che possono essere “amici” del sonno e che smorzano gli effetti dello stress.

Questi alimenti contengono infatti i prebiotici (da non confondere con i più noti probiotici) che fanno da “cibo” per i batteri buoni dell’intestino e favoriscono un buon riposo e una migliore reazione alle situazioni stressanti.

A evidenziarlo uno studio della University of Colorado a Boulder, pubblicato sulla rivista Frontiers in Behavioral Neuroscience. La ricerca è stata svolta su dei topi in laboratorio. I ratti, di tre settimane, sono stati nutriti con cibi semplici o ricchi di prebiotici. I ricercatori hanno poi monitorato la temperatura corporea, i batteri intestinali e i cicli sonno-veglia, con un esame apposito, l’elettroencefalografia.

Dai risultati è emerso che i topi alimentati con una dieta a base di prebiotici trascorrevano più tempo nella fase Rem del sonno, quella considerata più ristoratrice. Anche sottoposti a stress, i topi nutriti con prebiotici continuavano a mantenere questo beneficio, oltre a conservare un microbiota sano, cioè una composizione equilibrata dei batteri a livello intestinale, e normali fluttuazioni nella temperatura corporea.

Secondo l’autrice principale dello studio, Monika Fleshner, è prematuro raccomandare supplementi di prebiotici come aiuto per un buon sonno, ma nulla vieta di assumere questi elementi dai cibi. Non fa male e anzi può essere un aiuto.

ANSA


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I bambini che in età prescolare vanno a letto e si svegliano tardi hanno maggiori probabilità di soffrire di disturbi del sonno rispetto ai loro coetanei mattinieri. È quanto emerge da uno studio condotto a Singapore pubblicato su Sleep Medicine.

I bambini che in età prescolare vanno a letto e si svegliano tardi hanno maggiori probabilità di soffrire di disturbi del sonno rispetto ai loro coetanei mattinieri. È quanto emerge da uno studio condotto a Singapore pubblicato su Sleep Medicine.“I problemi di sonno possono iniziare nella prima infanzia e spesso persistono durante lo sviluppo. Sono stati associati a conseguenze negative sulla salute che riguardano il comportamento, gli aspetti cognitivi ed emozionali”, spiega l’autore senior della pubblicazione, Birit Broekman, ricercatrice all’Istitute for Clinical Sciences, Agency for Science, Technology and Research di Singapore.

“Si sa ancora poco su come il cronotipo possa contribuire ai problemi di sonno nei bambini molto piccoli, che non vanno ancora a scuola. Questo studio dimostra che anche in età prescolare i bambini con cronotipi notturni possono avere problemi di sonno”, evidenzia Broekman.

Lo studio

I ricercatori hanno studiato alcune famiglie a Singapore, concentrandosi su 244 bambini tutti intorno ai 4 anni e mezzo. Le madri hanno compilato questionari che hanno permesso ai ricercatori di classificare, sulla base dei cronotipi, i bambini in mattinieri, intermedi o notturni. Inoltre, le madri hanno riportato i problemi relativi all’addormentamento dei figli, come porre resistenza per andare a letto, impiegare molto tempo per addormentarsi, sonnambulismo, disturbi respiratori durante il sonno.

I ricercatori hanno utilizzato anche i monitor per tracciare i ritmi sonno-veglia di 117 bambini nel corso di quattro giorni, per validare i diari del sonno tenuti dalle loro madri.

Sulla base delle domande sul cronotipo, 25 bambini sono stati giudicati mattinieri, 151 intermedi e 64 notturni. L’ora di andare a letto in settimana per i mattinieri era in media attorno alle 10 di sera e la sveglia era puntata alle 7:30 del mattino. Gli intermedi tendevano invece ad andare a letto verso le 22:45 per svegliarsi attorno alle 7:40. I notturni andavano a dormire verso le 11 e si svegliavano dopo le 8:30. Dopo l’aggiustamento per etnia e altri fattori familiari, i ricercatori hanno scoperto che i bambini con cronotipi notturni avevano più problemi di sonno rispetto ai bambini mattinieri o intermedi.

“Queste evidenze suggeriscono che il cronotipo potrebbe essere un fattore che contribuisce ai disturbi del sonno nella prima infanzia”, riflette Broekman. “Tutto ciò potrebbe potenzialmente avere un impatto negativo sul comportamento durante il giorno e lo sviluppo cognitivo, aspetto che resta da testare”.

Fonte: Sleep Med 2016


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