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Gli animali domestici sono talmente preziosi che se stanno molto male anche i loro “amici umani” sono più a rischio di stress e sintomi di depressione e ansia.

A evidenziarlo è uno studio della Kent State University, pubblicato sulla rivista Veterinary Record. Gli studiosi hanno preso in esame 238 proprietari di cani e gatti, comparandone 119 con animali con malattie croniche o terminali con altri 119 con animali sani. I sintomi di stress, ansia e depressione sono stati misurati utilizzando scale di misura riconosciute e la qualità della vita è stata valutata tramite un questionario.

I risultati hanno evidenziato più stress e sintomi clinici significativi di depressione e ansia, oltre che una qualità di vita peggiore nei proprietari di animali con malattia cronica o terminale.

Secondo i ricercatori quanto emerso dallo studio può aiutare i veterinari a capire e gestire in modo più efficace le difficoltà nel contesto della gestione delle sfide del caregiving degli animali malati.

ANSA


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Che si manifesti con problemi di addormentamento, mal di testa o dolori allo stomaco, lo stress non risparmia i bambini. Ma, per aiutarli a ridurlo, un animale da compagnia può fare la differenza.

A verificarlo attraverso uno studio che ha messo a confronto i livelli di cortisolo, l’ormone prodotto dal corpo per rispondere a situazioni stressanti, è uno studio pubblicato su Social Development. Studi precedenti hanno dimostrato che cani e gatti aiutano gli adulti a calmarsi e quindi ridurre lo stress.

Per verificare se lo stesso accade per i bambini, i ricercatori dell’Università della Florida (UF) di Gainesville, guidati da Darlene Kertes, del dipartimento di psicologia, hanno incluso nel loro studio circa 100 bimbi tra i 7 e i 12 anni. Per testare i livelli di stress, i ricercatori hanno chiesto loro di impegnarsi in due compiti noti per aumentare i livelli di cortisolo, ovvero parlare in pubblico e compiere operazioni di aritmetica mentale. Hanno assegnato in modo casuale i bambini a 3 gruppi: uno doveva completare i compiti stressanti in presenza del proprio cane, un gruppo in presenza del proprio genitore, un terzo gruppo senza nessun sostegno. Per valutare i loro livelli di cortisolo, sono stati raccolti campioni di saliva prima e dopo aver completato il compito.

I risultati hanno rivelato che i bambini che hanno giocato e accarezzato i loro cani, avevano più bassi livelli di cortisolo rispetto ai bambini che non avevano interagito con l’animale.

ANSA


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Chi trasmette le paure ai bambini? Se un secolo di psicanalisi ha messo sul banco degli “imputati” i genitori, un nuovo studio inglese evidenzia come un ruolo importante possa essere esercitato anche dagli amici. E ci sono differenze di genere: le bambine sono meno suggestionabili.

Per valutare il “vissuto” delle paure dei bambini, un gruppo di ricercatori inglesi ha preso in considerazione una coorte di 236 bambini, 106 maschi e 136 femmine. Gli studiosi hanno fornito ai bambini – di un’età compresa tra i sette e i 10 anni – informazioni su animali dall’aspetto spaventoso e hanno valutato come si sentivano stando da soli e dopo che ne avevano parlato con gli amici. Dopo aver parlato con i piccoli amici, i bimbi tendevano a cambiare le loro opinioni per farle combaciare a quelle degli altri bambini.

“Alcuni studi mostrano che i bambini tendono a scegliere amici che hanno caratteristiche simili a loro e che possono diventare ancora più simili tramite le interazioni”, dice Jinnie Ooi, autrice principale dello studio e ricercatrice di psicologia presso la University of East Anglia nel Regno Unito. “Nel nostro studio abbiamo osservato che gli amici presentavano livelli analoghi di sintomi ansiosi e risposte alla paura ancor prima di discuterne insieme, e che dopo la discussione le paure diventavano ancora più simili”.

I bambini hanno completato questionari mirati alla valutazione dell’ansia e delle convinzioni alla base della paura. Inoltre, ai partecipanti sono state mostrate le foto di due marsupiali australiani poco conosciuti: il cuscus e il quoll. I ricercatori hanno letto ai bambini due versioni delle informazioni sugli animali; una neutra e una che descriveva questi animali come pericolosi. Gli studiosi hanno quindi valutato come si sentivano i bambini alla vista di ogni animale quando erano da soli e, successivamente, hanno chiesto loro di parlare di questi animali con gli amichetti.

Per capire come si sentissero i piccoli dopo le discussioni, i ricercatori li hanno dotati di mappe che mostravano gli animali su un sentiero e hanno chiesto loro di segnare il punto in cui avrebbero voluto essere nell’immagine. Quelli che si sono messi molto distanti dagli animali mostravano un tentativo di evitare gli animali, un chiaro indicatore di paura. Dopo aver parlato con gli amici, i bimbi tendevano ad avere risposte alla paura simili a quelle dei loro amici. Ma con differenze di genere. Quando la discussione avveniva tra due maschi, essi tendevano a presentare un notevole incremento nella paura dopo aver parlato, mentre le coppie di bimbe hanno mostrato una significativa riduzione delle convinzioni sulla paura anche quando hanno ricevuto informazioni minacciose.

”I disturbi d’ansia durante l’infanzia sono tra i problemi psicologici più comuni nei bambini preadolescenti”, ha concluso Ooi. “Il nostro studio può essere utile nel prevenire i problemi d’ansia, per esempio attraverso un lavoro nelle scuole, e per individuare schemi di trattamento in contesti clinici per disturbi legati all’ansia nell’età infantile”.

Fonte: Behaviour Research and Therapy 2016


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È quanto emerge da uno studio di piccole dimensioni, condotto nel Regno Unito e pubblicato da BMC Psychiatry. Dei 54 partecipanti allo studio, 25 hanno considerato i loro animali domestici come facenti parte della loro rete sociale. E circa il 60% degli animali è stato collocato nel cerchio più vicino al proprietario, e il 20% li ha posti nel secondo cerchio.

Secondo quanto suggerisce uno studio di piccole dimensioni, condotto nel Regno Unito e pubblicato da BMC Psychiatry, gli animali domestici da compagnia, potrebbero svolgere un ruolo attivo nel trattamento a lungo termine dei problemi di salute mentale dei loro proprietari.

Helen Brooks e colleghi, della University of Manchester, hanno intervistato 54 persone che avevano già ricevuto una diagnosi di problemi di salute mentale a lungo termine, e hanno dedicato particolare attenzione all’esperienza quotidiana del vivere giorno per giorno con una malattia mentale. I ricercatori hanno, in pratica, chiesto ai partecipanti di valutare il rapporto, il valore e il significato degli animali domestici nella loro vita. Allo scopo i partecipanti allo studio hanno ricevuto un diagramma con tre cerchi concentrici attorno ad una piazza che rappresentava il proprietario dell’animale. È stato chiesto loro di scrivere i nomi di persone, luoghi e cose che hanno dato loro un sostegno. Ebbene, dei 54 partecipanti, 25 hanno considerato i loro animali domestici come facenti parte della loro rete sociale. E circa il 60% degli animali è stato collocato nel cerchio più vicino al proprietario, e il 20% li ha posti nel secondo cerchio.

Helen Brooks ha in primo luogo sottolineato che diversi animali, in questo studio, sono stati visti come il supporto sociale più importante e centrale nella vita dei proprietari, fornendo spesso rapporti sicuri e altrimenti non disponibili con altri esseri umani. In proposito uno dei partecipanti parlando del suo cane ha detto di potersi fidare di lui più che delle persone. E un altro partecipante, riferendosi al suo gatto, lo ha reputato in grado di percepire da solo, senza bisogno di chiamarlo, quando avesse bisogno di compagnia. In definitiva gli autori ritengono che i loro risultati siano molto indicativi su quanto un animale domestico possa essere d’aiuto al suo proprietario, specie se malato di mente, anche fornendo una presenza fisica costante. Altri ricercatori hanno valorizzato lo studio precisando come in Australia e negli Stati Uniti l’impiego di animali domestici bisognosi di cure, se per esempio affidati ad anziani soli, a loro volta bisognosi di attenzione e compagnia, abbaia già portato a buoni risultati.

Fonte: BMC Psychiatry 2016


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