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Le donne sono affette dalla sindrome di Crigler Najjar, che solitamente si risolve solo con un trapianto di fegato. Invece dell’intervento chirurgico, è stato inoculato un virus, svuotato del suo corredo genetico e sostituito con il gene da correggere, che è entrato nel nucleo delle cellule del fegato. Qui ha iniziato a produrre la proteina che i cromosomi originari non erano in grado di sintetizzare.

Sono 3 le pazienti affette da sindrome di Crigler Najjar, malattia genetica rara del fegato, ad essere state curate con successo all’Ospedale di Bergamo con la terapia genica, nell’ambito del progetto internazionale di ricerca denominato “CureCN”, promosso da Genethon e finanziato dalla Comunità Europea all’interno del programma “Horizon 2020”.

La malattia di Crigler Najjar

La malattia di Crigler Najjar condiziona la vita fin dalla nascita, perché il fegato di chi è affetto da questa sindrome ha un difetto genetico che lo rende incapace di eliminare la bilirubina, il pigmento responsabile del colore giallastro della pelle, tipico delle malattie del fegato. La conseguenza è che la bilirubina si accumula nel sangue e nei tessuti e, se non si adottano misure specifiche per ridurne i livelli, si deposita nel sistema nervoso centrale causando danni cerebrali irreversibili. È come se l’ittero fisiologico dei neonati persistesse per tutta la vita anziché risolversi rapidamente.
L’unica strategia per tenere sotto controllo i livelli di bilirubina è sottoporsi a fototerapia a raggi ultravioletti, mentre l’unica procedura per guarire completamente la malattia è sempre stato finora solo il trapianto di fegato.

La cura

La nuova cura invece non prevede alcun intervento chirurgico, ma l’inoculazione in una vena del braccio di un virus innocuo, svuotato del suo corredo genetico e sostituito con il gene da correggere.

La prima ad essere stata curata con questo approccio innovativo è stata Gaia, 28enne, di Varese. Era il 18 novembre 2020 quando all’Ospedale di Bergamo le è stato iniettato questo virus, chiamato in gergo tecnico “adeno-associato”, che ha poi raggiunto il fegato ed è entrato nel nucleo delle cellule, liberando il piccolo frammento genetico che si è posizionato accanto al DNA della paziente. Qui ha iniziato a produrre la proteina che i cromosomi originari non erano in grado di sintetizzare, a causa della mutazione che determina la malattia.

“Per tutta la vita ho dormito ogni notte sotto la luce blu di una lampada UV per contenere il più possibile i livelli di bilirubina, scongiurare possibili danni neurologici e cercare di mitigare il colore giallo della pelle, che spesso ha creato disagio psicologico e sociale – ha spiegato Gaia, una delle assistite -. Il trapianto di fegato era l’unica soluzione per guarire. Oggi, grazie al progetto CureCN e al team di Lorenzo D’Antiga, la terapia genica per Crigler-Najjar è una realtà. Qui a Bergamo ho trovato un gruppo che mi ha accompagnato con competenza, attenzione e grande professionalità, trasmettendomi sicurezza e positività. Grazie a ciò non ho avuto paura di affrontare la terapia genica per prima”.

I risultati di questa sperimentazione, eseguita per la prima volta con successo nell’uomo, sono stati presentati il 26 giugno all’International Liver Congress della Società Europea di Epatologia (EASL). La presentazione è stata annoverata tra le migliori del congresso e inclusa nella selezione “Best of ILC”.

“Dopo quattro mesi di osservazione abbiamo constatato che la terapia ha permesso di raggiungere l’obiettivo principale che ci eravamo preposti, cioè una riduzione della bilirubina che permettesse la sospensione della fototerapia – ha spiegato Lorenzo D’Antiga -. Gaia finalmente ha smesso di dormire sotto le lampade blu della fototerapia. Nel frattempo abbiamo trattato altre due pazienti, una delle quali sospenderà la fototerapia in questi giorni. Ora il nostro obiettivo è quello di mantenere l’efficacia a lungo termine” .

Oltre al Papa Giovanni di Bergamo, capofila nell’arruolamento dei pazienti, fanno parte del progetto di ricerca anche TIGEM Pozzuoli (Organizzazione non-profit fondata dal Telethon italiano) e gli ospedali universitari di Amsterdam AMC e Parigi “Antoine Béclère”. I protagonisti di questo risultato sono però perlopiù italiani. Fondamentale è stato anche il contributo dell’Associazione CIAMI onlus, che da 30 anni sostiene i pazienti affetti dalla sindrome di Crigler Najjar, ed è impegnata nel favorire la ricerca in questo campo.

“Il Papa Giovanni XXIII di Bergamo è tra i centri di riferimento in Europa per la cura delle malattie epatiche nei bambini, comprese quelle rare, che hanno impatti devastanti sulla vita dei bambini e delle loro famiglie – ha commentato Maria Beatrice Stasi, Direttore Generale dell’ASST Papa Giovanni XXIII -. Qui, in parallelo ad una intensa attività trapiantologica, sono attivi numerosi progetti di ricerca che non si sono mai fermati nonostante le difficoltà legate alla pandemia. Dall’emergenza sanitaria siamo riusciti anche a trarre insegnamenti importanti, abbiamo dato un contributo fondamentale alle conoscenze sulla malattia da Coronavirus e confermato il contesto internazionale in cui l’Ospedale di Bergamo si posiziona”.

Un’attività di studio e di ricerca legate a doppio filo con l’attività di cura che ha portato la Pediatria di Bergamo ad individuare il legame tra Coronavirus e Sindrome di Kawasaki, pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet.

Il gruppo di lavoro del Papa Giovanni di Bergamo continuerà la sperimentazione della terapia genica su altri malati, per completare il progetto che prevede in totale il trattamento di 17 pazienti. “Stiamo già lavorando su altre malattie rare del fegato, e speriamo di poter offrire i vantaggi della terapia genica anche a pazienti affetti da altre patologie”, ha concluso D’Antiga.


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La paziente, 54 anni, era costretta su una sedia a rotelle, e la sua grave malformazione era considerata inoperabile. Ora è tornata in piedi e ha iniziato la riabilitazione. L’intervento è unico nel suo genere

Intervento record al Rizzoli. Gli specialisti dell’istituto ortopedico di Bologna sono riusciti, per la prima volta, a curare una cifosi (cioè la curvatura in avanti della colonna vertebrale) di ben 100 gradi che costringeva la paziente, una donna di 54 anni, sulla sedia a rotelle. Per riportare dritta la schiena, i medici del Rizzoli hanno dovuto rimuovere due vertebre toraciche non contigue, risolvendo così una grave malformazione considerata fino ad oggi non operabile. Dopo l’intervento, e un breve periodo in terapia intensiva, la donna è tornata in piedi dopo sette giorni e ha iniziato il percorso di riabilitazione per ricominciare a camminare.

La cifosi, che non permetteva alla donna né di stare in piedi né di camminare, era stata causata da una fusione patologica (anchilosi) di cinque vertebre toraciche. I numerosi interventi precedenti non erano serviti a migliorare le condizioni della 54enne, che era considerata non più operabile per i forti rischi di lesione del midollo spinale, imprigionato nella colonna vertebrale così incurvata.

L’intervento, unico nel suo genere, è durato circa otto ore ed è stato eseguito dall’équipe di Cesare Faldini, direttore della Clinica ortopedica 1 del Rizzoli, affiancato da anestesisti, rianimatori, neurofisiologi e infermieri. Per l’operazione è stata utilizzata una tecnica in 3D per avere un modello della colonna deformata partendo dalla Tac della paziente, in modo da pianificare al meglio la rimozione delle due vertebre e guidare i chirurghi senza ledere il midollo spinale, con un movimento di correzione di oltre 90 gradi in un singolo intervento. Sulla base della Tac sono state progettate anche 12 maschere, costruite sempre con la stampa in 3D, che hanno permesso di applicare le viti nelle vertebre.

“Un risultato fino a oggi impensabile– ammette Faldini- ottenuto combinando la tradizione nella ricerca ortopedica del Rizzoli con tecniche altamente innovative, per offrire una possibilità di correzione chirurgica a quelle rare scoliosi e cifosi fino a oggi considerate inoperabili per la loro gravità”. Si tratta di situazioni rare, precisa il professore, ma “gravemente menomanti per i pazienti. Se la colonna si deforma oltre 90 gradi, cioè compie un angolo retto, da verticale diviene orizzontale, rendendo impossibile stare in piedi e avere una vita di relazione accettabile. Questi pazienti, pur avendo il midollo spinale integro, hanno il controllo volontario delle gambe ma non riescono a utilizzarle e sono costretti a sedere a causa della forma della loro spina dorsale”.

La rimozione di più vertebre in simultanea per riallineare la colonna “è un significativo passo avanti– continua Faldini- in quanto offre una soluzione per correggere cifosi e scoliosi di entità gravissima non affrontabili con tecniche alternative. In questo ambito, la fama dell’Istituto Rizzoli supera ampiamente i confini nazionali: la prestigiosa rivista americana Newsweek ci ha inserito all’11esimo posto tra le ortopedie eccellenti nel mondo e a livello di ricerca una ‘anteprima semplificata’ di questa procedura, presentata negli Stati Uniti alla prestigiosa ‘American academy of orthopaedic surgeons’ nel 2020, è stata premiata come miglior lavoro scientifico nell’ambito della chirurgia vertebrale“.


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La XIV edizione di Pangea, l’operazione Interpol finalizzata a contrastare la commercializzazione di medicinali e dispositivi medici illegali o falsificati venduti online, ha portato complessivamente al sequestro di oltre 9 miliardi di farmaci/dispositivi medici e alla chiusura di 113 mila siti internet illegali.

L’operazione, conclusa il 25 maggio, ha interessato 55 paesi; le attività di controllo sono state effettuate presso i maggiori hub aeroportuali dei Corrieri e delle Poste, in ragione dell’elevato numero di spedizioni di cui questi sono destinatari.

Presso questi hub sono state condotte verifiche congiunte da parte di “squadre miste” composte da personale di ADM e militari dei Nuclei dei Carabinieri NAS, coadiuvati dall’Ufficio Investigazioni della Direzione Antifrode ADM e dal Nucleo Carabinieri-NAS AIFA, con il supporto dell’Agenzia Italiana del Farmaco.

Grazie all’intensificazione dei controlli sulle spedizioni dirette in Italia, sono stati individuati e sequestrati nel corso della week of action circa 30.000 confezioni di farmaci illegali e falsificati, per un valore stimato di circa 100.000 euro. Anche alla luce dell’attuale pandemia, in Italia così come negli altri Paesi coinvolti nell’Operazione PANGEA, l’attività di controllo si è focalizzata in modo particolare sui farmaci correlati alla cura del COVID-19, consentendo di individuare e bloccare medicinali che, lungi dal rappresentare una reale cura per i pazienti affetti dal virus, li espongono invece a seri rischi per la propria salute.

L’operazione ha inoltre consentito di individuare trend emergenti, come quelli riguardanti sia le spedizioni illegali di farmaci provenienti da Singapore, che le spedizioni di farmaci di medicina tradizionale cinese utilizzati per la cura del Covid-19, presumibilmente destinati alle comunità asiatiche residenti in Italia. In questi casi, l’intervento di INTERPOL è stato particolarmente significativo, grazie alla rapidità con la quale è stata possibile la condivisione delle informazioni a livello intercontinentale.


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La piccola paziente era arrivata all’ospedale Infantile Regina Margherita prima di Pasqua con febbre alta e dolori addominali. Un’ecografia ed una TAC  rivelano una massa di circa 4 cm al polo superiore del rene destro. Si decide di effettuare in modo sperimentale l’intervento per via robotica, e l’anatomia della bimba ricostruita in maniera tridimensionale (3D). Il tumore è stato asportato completamente ed il rene viene accuratamente preservato.

Per la prima volta in Italia, ed una delle prime al mondo, un robot ha asportato in età pediatrica su una bimba di 4 anni un tumore renale maligno senza rimozione dell’intero rene, dopo la ricostruzione in 3D dell’anatomia della bambina. Lo annuncia la Città della Salute di Torino in una nota.

La piccola paziente di 4 anni era arrivata al Pronto soccorso dell’ospedale Infantile Regina Margherita prima di Pasqua, aveva la febbre alta e dolori addominali. Un’ecografia ed una TAC  rivelano una massa di circa 4 cm al polo superiore del rene destro. La bimba viene presa in carico e ricoverata nel reparto di Oncoematologia. Anche dopo le ulteriori indagini ed esecuzione di Risonanza Magnetica Nucleare la diagnosi non è certa, potrebbe trattarsi di un tumore maligno ma anche di un tumore benigno o di una malformazione  congenita che si è complicata.

Il caso viene discusso in maniera multidisciplinare con gli oncologi, gli urologi pediatrici e gli urologi dell’ospedale Molinette. La massa è in una posizione di difficile accesso, localizzata tra il fegato, i grossi vasi del corpo (vena cava inferiore) ed i vasi del rene, e non avendo una sicura natura maligna, dovrebbe essere asportata senza dover rimuovere tutto il rene.

“Si decide – riferisce ancora la nota della Città della Salute – di effettuare in modo sperimentale l’intervento per via robotica con la disponibilità del professor Gontero, esperto di chirurgia laparoscopica e robotica del rene nell’adulto”.

La bambina è molto piccola, pesa solo 14 kg, ed al mondo solo pochi interventi simili sono stati effettuati. L’intervento viene accuratamente pianificato, e l’anatomia della bimba ricostruita in maniera tridimensionale (3D) sulla base della TAC e della Risonanza Magnetica effettuate. Pochi giorni dopo la paziente viene operata con tecnica robotica: il tumore viene asportato completamente ed il rene viene accuratamente preservato.

L’intervento è effettuato dal professor Gontero e dalla sua équipe nelle sale robotiche dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, in collaborazione con gli anestesisti e rianimatori dell’ospedale Infantile Regina Margherita e con il personale infermieristico delle sale operatorie sia delle Molinette che dell’ospedale pediatrico. L’operazione è durata 3 ore ed è perfettamente riuscita. La bambina è stata tenuta in osservazione per 24 ore in Terapia Intensiva del Regina Margherita, ma poi è stata trasferita in reparto di Chirurgia Alta Intensità e dopo soli 4 giorni è andata a casa guarita. All’esame istologico é risultato essere un tumore maligno, completamente asportato. Adesso la bambina sta bene e proseguirà i controlli medici. Della brutta avventura restano solo 4 piccole cicatrici sull’addome, quasi invisibili.

“E’ il felice risultato dell’applicazione della più recente tecnologia in ambito medico (chirurgia robotica e ricostruzione anatomica 3D), e di una perfetta collaborazione ed integrazione tra competenze multispecialistiche dell’adulto e del bambino, quali è possibili avere solo in una struttura come la Città della Salute di Torino, eccellenza piemontese ed italiana”, conclude la nota.


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In attesa di liberarci dall’obbligo delle mascherine, con il caldo l’insofferenza aumenta. I dermatologi della SIDeMaST hanno approntato un vademecum per far “convivere” temperature alte e mascherine, per evitare irritazioni dovute a dermatite da contatto e il peggioramento di acne e rosacea.

Il caldo è alle porte e l’insofferenza verso l’utilizzo delle mascherine per proteggerci dal Sars-CoV-2 aumenta. In attesa di liberarci dall’obbligo del loro utilizzo, come per altro auspicato dal sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri e a determinate condizioni, gli esperti della SIDeMaST, la Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmissibili hanno redatto un vademecum per favorire la difficile convivenza tra le temperature in aumento e le mascherine, tra la voglia di “respirare” e gli obblighi ancora imposti dalla pandemia di Sars-CoV-2.

Dall’uso delle mascherine certificate CE in fibra naturale al cambio (frequente) e alla pulizia delle stesse, passando per una profonda detersione e idratazione della pelle con prodotti delicati fino ai consigli sull’alimentazione, il “prontuario” è dedicato a grandi e piccoli. Il caldo infatti peggiora i fastidi che sempre più pazienti lamentano a livello cutaneo: prurito, bruciori, eritemi, desquamazione della cute e irritazioni. E la situazione peggiora se si soffre di malattie cutanee preesistenti come l’acne, che pur essendo un disturbo tipicamente adolescenziale interessa il 15% degli adulti, o la rosacea che colpisce più di 3 milioni di italiani.

Non a caso si parla di maskne, termine che deriva dalla fusione di “mask” e “acne”. “Studi clinici hanno recentemente evidenziato che indossare mascherine continuativamente e per un tempo prolungato acutizzerebbe l’acne e/o altre irritazioni della pelle preesistenti o latenti. Il 90% dei pazienti infatti attribuisce il peggioramento di acne e rosacea all’uso della mascherina e un 30% dichiara che la patologia si è slatentizzata o riacutizzata a causa della stessa. L’uso della mascherina per molte ore al giorno determina una occlusione che può provocare l’alterazione del microbiota cutaneo e quindi del film lipidico. Rispetto all’emergenza che stiamo vivendo la maskne costituisce un effetto collaterale trascurabile se valutiamo il rapporto costo-beneficio derivante dall’uso della mascherina. Ma le ricadute sulla pelle – aggiunge – vanno curate e non sottovalutate, per evitare che si tenda a non indossare la mascherina, fondamentale nella protezione da contagio da Sars-CoV-2. Mi preme sottolineare che dovendo tenere la mascherina sul viso tutto il giorno bisogna fare molta attenzione quando si applicano le creme il cui effetto occlusivo non va tralasciato. Per cui va ‘calibrata’ bene la terapia antiacne, spesso aggressiva, con la dermo routine.”

Con l’uso della mascherina peggiorano anche le dermatiti da contatto: “Le dermatiti possono essere causate per esempio dalla composizione dell’elastico o dalla sensibilità al metallo utilizzato per modellare la mascherina sul naso. Ma possono essere attribuite anche all’utilizzo non appropriato della mascherina. Se tendiamo ad utilizzarla molto a lungo (oltre le 6 ore consecutivamente) o a riusarla, potremmo avere delle reazioni allergiche in quanto spesso nelle mascherine usate possono essere presenti tracce di cosmetici contenenti conservanti e coloranti. Oppure possono esserci tracce di detergenti qualora la mascherina una volta lavata non sia stata ben sciacquata o, nel caso sia stata disinfettata con uno spray detergente, non sia ancora asciutta”.

Anche la rosacea peggiora con l’uso delle mascherine: “Il peggioramento è dovuto a quello che potremmo definire un effetto “occlusivo o di condensa”, destinato purtroppo ad aumentare a causa del caldo, che è il primo nemico della rosacea. Il vapore acqueo prodotto dal respiro infatti si trasforma in liquido che non riesce ad asciugarsi – e quindi a far respirare la pelle – perché è effettivamente bloccato dalla mascherina. Per questo motivo l’irritazione sul viso compare o peggiora e, poiché in questo periodo le temperature aumentano, aumenta anche la sensazione di calore e fastidio. Facile intuire quindi quanto queste condizioni possano portare ad un peggioramento della rosacea”.

Il vademecum messo a punto dai dermatologi della SIDeMaST può aiutare anche a restituire un aspetto sano a quello che il Times ha definito “covidface”, vale a dire un viso che può invecchiare anche di 5 anni in soli 6 mesi di pandemia con accentuazione di borse, occhiaie, rughe, pelle avvizzita, sguardo spento.

Ecco le regole da seguire suggerite dai dermatologi:

1. Indossare sempre mascherine certificate CE bianche, in tessuti naturali o anallergici che possano aiutare la pelle a respirare, evitando mascherine in tessuti sintetici;

2. Cambiare/lavare con regolarità la mascherina, utilizzando detergenti neutri o prodotti biologici ed anallergici;

3. Cercare di evitare il trucco se si sa di dover portare la mascherina per un periodo prolungato;

4. Prestare la massima cura alla scelta dei prodotti per la routine di pulizia e idratazione;

5. La mattina, al risveglio, partire da una detersione mirata con detergenti leggermente più acidi e seboregolatori, ma sempre delicati. Applicare quindi prodotti topici non comedogenici e farli assorbire completamente prima di indossare la mascherina. L’idratazione della pelle è fondamentale, meglio applicare la crema quindi almeno una trentina di minuti prima di indossare la mascherina;

6. Con l’arrivo dell’estate non dimenticare un filtro solare perché i raggi solari attraversano anche i tessuti. Oggi esistono versioni spray molto leggere che annullano la sensazione di pesantezza;

7. Per prevenire danni tipo abrasioni o irritazione, si può usare una medicazione idrocolloide da posizionare sotto le palpebre o sul dorso del naso;

8. Se l’infiammazione dovesse presentarsi, rivolgersi subito al dermatologo;

9. Prestare la massima attenzione all’alimentazione, evitando troppi zuccheri e alcolici e optando per una alimentazione che ripercorra le sane abitudini della dieta mediterranea.


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Boom di farmaci contraffatti in Italia, con i sequestri da parte delle autorità competenti cresciuti del +45% nel 2020 rispetto all’anno precedente. La maggior parte riguarda prodotti acquistati on line, privi delle necessarie autorizzazioni.

La  denuncia arriva da Assoutenti, che si occupa di lotta alla contraffazione nell’ambito del progetto ‘Io sono originale’, volto a combattere il fenomeno e dare indicazioni utili ai consumatori.

“I dati ufficiali dell’Agenzia delle Dogane segnano una fortissima crescita nei sequestri di medicinali contraffatti o illegali operati sul territorio italiano – sottolinea Assoutenti – con 2.192 kg di farmaci sottoposti a sequestro e circa 1 milione di confezioni contro i 1.509 kg del 2019. Una fetta consistente di forniture illecite riguarda proprio farmaci utilizzati per la cura del Covid-19: a partire dallo scoppio della pandemia si è assistito alla nascita di un nuovo mercato illegale del farmaco che sfrutta l’emergenza sanitaria per lucrare sulla salute, sul disagio e sull’indubbia paura dei cittadini di contrarre il virus. Il Covid, in sostanza – sottolinea l’associazione di consumatori – ha scatenato una sorta di caccia al farmaco che possa prevenire o addirittura curare il Covid-19”.

Federfarma, da anni, mette in guardia da questi rischi ed è in prima linea, insieme ad Aifa e ministero della Salute, nel sottolineare l’importanza di acquistare prodotti per la salute presso la propria farmacia fisica di fiducia, dove il farmacista conosce il paziente, i suoi bisogni, le sue terapie, e può fornire consigli sulla corretta modalità di assunzione. In alternativa, si può acquistare da siti di farmacie reali, solamente se contraddistinti dal “common logo”. Unica via per evitare possibili rischi di una diffusione incontrollata delle vendite online.


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Si tratta della tecnologia nata per scopi militari degli “smart glasses” provvisti di telecamera, microfono integrato e connessione wireless per le sedute operatorie. In particolare è stato effettuato un sofisticato intervento di chiusura percutanea dell’auricola sinistra del cuore con l’inserimento di un piccolo dispositivo “Watchman”, avvalendosi, per la prima volta in Europa, della supervisione a distanza.

Le sale operatorie diventano sempre più tecnologiche grazie a dispositivi Hi Tech che consentono ai medici di effettuare interventi evoluti e di ricevere assistenza e supporto a distanza in condizioni di massima sicurezza per i pazienti.

All’Ospedale “Sant’Andrea” di Vercelli pochi giorni fa è stato effettuato il primo intervento in Europa con l’ausilio della tecnologia degli “smart glasses”. L’equipe ha utilizzato gli “occhiali intelligenti” provvisti di telecamera, microfono integrato e connessione wireless per le sedute operatorie proprio come nell’ultimo “futuristico” spot pubblicitario di una nota compagnia telefonica che ha scelto come testimonial un cardiochirurgo, Francesco Musumeci.

In particolare è stato effettuato un sofisticato intervento di chiusura percutanea dell’auricola sinistra del cuore con l’inserimento di un piccolo dispositivo “Watchman”, avvalendosi, per la prima volta in Europa, della supervisione a distanza. Gli occhiali “smart” sono stati indossati da un medico dell’equipe di Cardiologia vercellese che ha condotto tecnicamente l’intervento sul paziente, mentre Fabrizio Ugo ha potuto seguire da un’altra sede l’intera seduta operatoria guidando, passo per passo, il collega in tutte le fasi dell’impianto. L’intervento è durato meno di un’ora ed il paziente è stato dimesso dopo un giorno.

I nuovi occhiali intelligenti, nati dalla collaborazione fra Boston Scientific International e Rods&Cones, funzionano grazie ad una tecnologia di telecomunicazioni a banda larga, si collegano ad uno smartphone e hanno una telecamera con zoom ottico 6x posizionata centralmente che offre all’operatore una visione reale del campo visivo. Permettono quindi di mostrare in tempo reale interventi condotti presso l’ospedale e offrire assistenza e supporto a medici di tutto il mondo, ma anche di promuovere training a distanza e di condividere in diretta esperienze di pratica clinica quotidiana.

“Questi occhiali – spiega Ugo – permettono una rapida connessione con la sala operatoria, e in un attimo si è catapultati all’interno. Si possono seguire tutte le fasi di un intervento e condividere opinioni ed indicazioni. È stato emozionante poter comunicare a distanza con il collega che era in sala e essere “i suoi occhi” per poter guidare così in totale sicurezza l’intervento”.

Grande soddisfazione espressa dall’intero team che ha partecipato all’intervento (Elettrofisiologi, Emodinamisti, Anestesisti) effettuato in piena sicurezza e comfort per il paziente, e che riconferma l’apertura e la propensione all’innovazione dell’Ospedale “Sant’Andrea” di Vercelli.

“Per la prima volta in Europa abbiamo utilizzato una tecnologia nata con scopi militari che abbiamo traslato in ambito medico/chirurgico. Nella fattispecie in ambito interventistico per un’operazione al cuore”.

“Un grandissimo successo per tutto l’Ospedale e per la nostra Cardiologia che si conferma essere sempre più all’avanguardia per interventi complessi e con l’ausilio di nuove tecnologie, che mai come in questo periodo possono davvero garantire la massima efficienza in termini di risultati esponendo ad un sempre minor rischio i pazienti ed anche gli operatori sanitari”.


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I carabinieri del Nas hanno oscurato 92 siti, collocati su server esteri, che facevano pubblicità e vendevano anche farmaci anti-Covid, acquistabili solo in farmacia con la prescrizione medica. Altri due siti vendevano non solo farmaci ma anche anabolizzanti e prodotti ‘brucia grassi’ considerati pericolosi. Con questo, salgono a 121 i provvedimenti sinora eseguiti nel corso del 2021 dai Nas.

“Voglio ringraziare i Nas – Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, per l’operazione che ha portato all’oscuramento di 92 siti web che vendevano illegalmente farmaci anti Covid-19 e altri prodotti ritenuti pericolosi. Su medicinali e dispositivi medici ci dobbiamo fidare dei nostri medici, dei farmacisti e dei professionisti sanitari e diffidare di canali di distribuzione alternativi” ha commentato subito dopo la brillante operazione il ministro della Salute, Roberto Speranza.

Questa operazione si inserisce nell’ambito di una mirata operazione di vigilanza telematica contro il cybercrime farmaceutico, condotta dai militari del Reparto Operativo di concerto con il ministero della Salute, la cui Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico ha emesso i 92 provvedimenti d’inibizione all’accesso (il cosiddetto “oscuramento”) dei 92 siti web, collocati come già anticipato su server esteri e con riferimenti di gestori non individuabili, sui quali venivano effettuate la pubblicità e l’offerta in vendita, anche in lingua italiana, di svariate tipologie di medicinali, molte delle quali connesse anche con l’emergenza pandemica da Covid-19.

Oltre a una serie di farmaci recanti varie indicazioni terapeutiche e soggetti a obbligo di prescrizione, vendibili solo in farmacia da parte di farmacista abilitato, i Carabinieri del Nas hanno individuato l’offerta in vendita di medicinali asseritamente contenenti principi attivi soggetti a particolari restrizioni d’uso e specifiche indicazioni d’impiego in relazione all’infezione da Sars-CoV-2 come gli antimalarici clorochina e idrossiclorochina, in relazione ai quali l’Aifa nel dicembre 2020 ha pubblicato una scheda aggiornata contenente elementi utili a orientare la prescrizione e a definire un rapporto tra benefici e rischi sul singolo paziente, e gli antivirali lopinavir/ritonavir, di cui la medesima Agenzia regolatoria ha sospeso l’utilizzo off label al di fuori degli studi sperimentali clinici.
Presenti nei siti individuati anche l’antivirale ribavirina, per la quale è stato autorizzato l’uso compassionevole limitatamente a pazienti ospedalizzati con difficoltà respiratorie legate al Covid-19, l’antibiotico azitromicina, rispetto al quale l’Aifa ha diramato una scheda che offre elementi necessari per una corretta prescrizione e per valutare il rapporto tra benefici e rischi sul paziente, gli antinfiammatori colchicina, oggetto di uno studio sperimentale nel trattamento del Covid-19, e indometacina, la cui assunzione fuori stretto controllo medico può causare gravissimi effetti collaterali, nonché la colchicina, utilizzata per alleviare il dolore da attacchi acuti di gotta, per la quale l’AIFA ha autorizzato uno studio clinico che mira a valutare l’efficacia e la sicurezza del principio attivo nel ridurre il tasso di ospedalizzazione di pazienti domiciliari con infezione sintomatica da SARS-COV-2.

Tra i prodotti presenti nelle “vetrine virtuali” di alcuni dei siti oscurati sono stati rilevati farmaci a base di umifenovir, un principio attivo antivirale per il quale l’agenzia regolatoria italiana ha già da tempo precisato l’assenza di autorizzazione nella Unione europea e la mancanza di evidenze scientifiche sull’efficacia nel trattamento e nella prevenzione di Covid-19.

Da menzionare, infine, l’inibizione all’accesso di due ulteriori siti che presentavano non solo medicinali a base di salbutamolo, broncodilatatore utilizzato nel trattamento dell’asma, e di anabolizzanti vietati per doping, ma anche prodotti asseritamente a base di dinitrofenolo, sostanza chimica non destinata al consumo umano che, se assunta, altera le funzioni delle cellule inducendole a disperdere energia come calore invece di immagazzinarla al loro interno, determinando un effetto “brucia grassi” che comporta una rapida perdita di peso, ma è altamente imprevedibile e gravemente dannoso per l’organismo in quanto causa innalzamento della temperatura corporea, sudorazione profusa e aumento della frequenza cardiaca e respiratoria.

In occasione di questa nuova, importante operazione, i Nas rinnovano l’invito ai cittadini a diffidare delle offerte in rete di medicinali non autorizzati o di dubbia provenienza e a verificare sempre, per quanto concerne l’offerta in vendita e la pubblicità dei “medicinali senza obbligo di prescrizione” (Sop/Otc), la presenza del previsto logo identificativo nazionale, cliccando il quale si viene rimandati alla pagina web del sito internet del Ministero della Salute contenente i dati relativi all’autorizzazione.


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Il consumo di prodotti omeopatici e il relativo acquisto on line, cresce con il perdurare della pandemia. Parallelamente cresce anche il rischio di perderne tracciabilità della provenienza e, quindi, garanzie sulla sicurezza.

A rilevarlo sono i dati dell’indagine a campione, condotta da Doxapharma per Omeoimprese, l’associazione che in Italia rappresenta il comparto omeopatico, che evidenziano come un consumatore su 2 faccia acquisti sul web. E se la media è di almeno 4 prodotti in un anno comprati con e-commerce, una buona parte arriva ad acquistarne fino a 8.

A fronte di una presunta maggiore gamma di prodotti tra cui scegliere, gli acquisti on line di sostanze omeopatiche comportano una serie di rischi. Come accade anche per i farmaci, comprando online da siti non certificati non si è sicuri della provenienza, del contenuto e dello stato di conservazione di ciò che si acquista. In secondo luogo – come sottolineato dallo stesso presidente di Omeoimprese, Giovanni Gorga, – “viene meno il consiglio da parte del farmacista, che è fondamentale per la corretta assunzione”.

Federfarma, da anni, mette in guardia da questi rischi ed è in prima linea, insieme ad Aifa e ministero della Salute, nel sottolineare l’importanza di acquistare prodotti per la salute da siti di farmacie reali, che presentano il “common logo”. Unica via per evitare possibili rischi di una diffusione incontrollata delle vendite online.

Sempre Federfarma ha più volte ribadito che anche i prodotti di uso comune, come gli integratori, possono interferire con farmaci, cibi ed altre sostanze. Il farmacista in farmacia è in grado di consigliare il cittadino sul prodotto più adatto, supporto che on line rischia di venire meno.


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L’intervento si è reso necessario a causa dell’infezione e delle lesioni provocate dalla ventilazione invasiva. Il trapianto rappresenta un modello clinico a livello internazionale

È stato portato a termine con successo il primo trapianto di trachea in Italia, il primo al mondo che viene effettuato su un paziente post Covid-19.

I danni conseguenti all’infezione Sars-Cov2 e alle tecniche di ventilazione invasiva che si sono rese necessarie durante la malattia, hanno provocato l’assottigliamento della trachea che impediva quasi completamente la respirazione, rendendo necessario effettuare l’intervento.

Il trapianto è stato eseguito lo scorso 2 marzo presso la Chirurgia Toracica dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea, policlinico universitario della rete Sapienza e azienda di alta specializzazione della Regione Lazio. Il paziente, un uomo di 50 anni originario della Sicilia, immediatamente risvegliato è stato da subito in grado di respirare e parlare autonomamente; dopo un ricovero di tre settimane e un decorso post-operatorio regolare, ha ripreso la sua vita normale, tornando al suo lavoro e alla sua città.

L’importante traguardo è stato presentato nell’aula magna della Sapienza da parte dello staff medico della Chirurgia toracica diretta da Erino Rendina e in particolare dalla giovane chirurga Cecilia Menna, la trentacinquenne responsabile del Programma “Tracheal Replacement” del Sant’Andrea che ha condotto con il professor Rendina l’intervento in prima persona.

“Questo successo è motivo di soddisfazione per tutta la nostra comunità e rappresenta un’ulteriore conferma degli eccellenti risultati clinici della ricerca medica e scientifica prodotta dall’Ateneo, al servizio della salute della collettività – afferma la rettrice Antonella Polimeni – Il fatto poi che questo intervento veda in prima linea una giovane chirurga è un segnale forte di come le competenze femminili si possano affermare in ambiti professionali come quello chirurgico, tradizionalmente a quasi esclusivo appannaggio degli uomini”.

“Un risultato di elevata complessità organizzativa e clinico-assistenziale, frutto dell’esperienza e dello spirito di innovazione dei nostri chirurghi – commenta il direttore generale del Sant’Andrea Adriano Marcolongo – e della capacità di fare rete con altri centri italiani di eccellenza.”

L’intervento chirurgico, che ha coinvolto 5 operatori ed è durato circa 4 ore e mezza, è stato condotto con sofisticate tecniche di anestesia, che hanno permesso di non instituire la circolazione extracorporea. La trachea malata è stata rimossa nella sua totalità e successivamente è iniziata la delicata fase di ricostruzione che ha previsto la sua sostituzione con un segmento di aorta toracica criopreservata presso la Fondazione Banca dei Tessuti di Treviso e perfettamente adattabile alle dimensioni della via aerea del paziente.

“La patologia tracheale era estesa e severa e non poteva essere affrontata con le tecniche di ricostruzione, su cui pure abbiamo maturato una esperienza ventennale – spiega Erino Rendina – e l’unica opzione plausibile era la sostituzione dell’intera trachea con biomateriale”. “Una delle criticità maggiori nella sostituzione della trachea, tubo rigido e pervio – spiega Cecilia Menna – è il ripristino della sua rigidità: per questo abbiamo provveduto a inserire all’interno dell’aorta impiantata un cilindro di silicone, la cosiddetta protesi di Dumon, della lunghezza di 10 cm e ripristinato completamente la pervietà aerea, la respirazione, la fonazione e la deglutizione”.

Il paziente, immediatamente risvegliato e da subito in grado di respirare e parlare autonomamente, non ha necessitato di ricovero in terapia intensiva né di tracheotomia ed è stato trasferito direttamente nel reparto di Chirurgia Toracica. Sono state effettuate broncoscopie quotidiane per controllare il corretto posizionamento del cilindro di silicone e il buono stato di conservazione del graft aortico. Il suo decorso post-operatorio è stato regolare e, dopo tre settimane dall’intervento, il paziente è stato dimesso, senza la necessità di terapia immunosoppressiva, come avviene invece per gli altri trapianti d’organo, grazie alla scarsissima immunogenicità del graft aortico.


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